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Franco Tosi commemorazione 2015: l’intervento di uno studente

FRANCO TOSI 2015 – INTERVENTO DI UNO STUDENTE

A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ogni “straniero” è nemico. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come un infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager”.

Questo è ciò che scrive Primo Levi nel suo libro “Se questo e un uomo”. E' un pensiero condivisibile da molti deportati in questi campi.

Angelo Sant'Ambrogio un deportato della Franco Tosi viene ricordato da suo fratello, Teodoro, come un uomo combattivo, che non si tirava indietro quando c'era da lottare insieme ai suoi compagni, “e quando per lui e altri arrivò il momento di prendersi delle responsabilità, non mancò la coerenza di dimostrare in cosa credeva, pagando anche con la vita per le proprie idee”.

Oggi noi siamo qui per tenere viva la memoria di quegli ideali per i quali essi diedero la vita e noi tutti soffrimmo. Da allora ogni anno quelle vite uccise nei lager ci vogliono ricordare che la libertà è importante, che tocca a noi non rendere vano il loro sacrificio perché, come sostiene un partigiano, all’epoca giovanissima audace staffetta 13enne (Piera Pattani), “la libertà è come l’aria: non puoi vivere senza, ma quando ti accorgi che manca… può essere già troppo tardi”.

Ho avuto la fortuna di partecipare nel mese di maggio dello scorso anno a un viaggio della Memoria, promosso dall'amministrazione comunale, nei campi di Bolzano, Ebensee, Gusen, Mauthausen, Dachau e al castello di Herteim e questo mi ha permesso di vivere in prima persona ciò che anche alcuni deportati hanno provato. Questi sono luoghi che meritano di essere visitati almeno una volta nella vita, da questi luoghi si può ripartire per non commettere più gli errori del passato.

La storia rimane impressa nella nostra memoria e sui nostri libri, di certo non possiamo cambiarla ma tutti nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa per fare in modo che queste atrocità non si ripetano mai più, anche con un semplice gesto come quello di non rinnegare ciò che è accaduto e quello di deporre una corona d'alloro, a ricordo di questi eroi, perché tali si possono definire, come anche noi abbiamo fatto al monumento italiano a Mauthausen.

In questo “pellegrinaggio” ci siamo posti molte domande e abbiamo ascoltato molte testimonianze di persone che hanno visto o saputo dai loro parenti deportati in questi campi e che spesso non sono tornati.

L'emozione più grande è stato vedere in questi luoghi i deportati: i primi a Ebensee nelle gallerie dove probabilmente hanno visto morire molti loro compagni e dove lottavano ogni giorno contro la morte, un altro a Mauthausen e un altro ancora a Gusen che era quasi emozionato nel vedersi ritratto nella foto della mostra. Tutti questi deportati, anche di nazionalità diverse, però sono accomunati tutti dallo stesso sentimento: quello del ricordo per non dimenticare e per fare in modo che la loro memoria rimanga viva anche un domani.

Di questo viaggio mi è rimasta impressa una domanda che Dario Venegoni si è posto durante la cerimonia italiana, una domanda che molti si fanno, soprattutto noi giovani: “Perché voi dell’ANED siete così attaccati al passato?”. Ha risposto sostenendo che non sono legati al passato per una strana nostalgia, perché non si può avere nostalgia di Mauthausen, ma perché in questo luogo ci sono le radici di ciò che siamo nel bene e nel male. “Veniamo qui perché siamo fortemente legati a una prospettiva del futuro, perché pensiamo al futuro nostro, al futuro delle nuove generazioni e perché questa è la prova di che cosa succede quando un ideologia pensa o organizza il successo di una parte del mondo a scapito della vita dell'altro”.

Il pensiero che penso ci accomuna tutti è che Noi non siamo responsabili di quello che c'è stato, siamo responsabili affinché quello che c’è stato non abbia più a ripetersi.

Stefano Pedretti, ISIS “Bernocchi” di Legnano

Redazione
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Pubblicato il 16 Gennaio 2015
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