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Malattia del seno pilonidale, la chirurgia diventa mini invasiva

La malattia, che colpisce soggetti dai 15 ai 30 anni, prima veniva curata con interventi dolorosi nella fase post operatoria

Alla scoperta del seno pilonidale: a parlarci della malattia nello smart news salute, il dott. Antonio D'Alessio, responsabile dell'Unità Operativa di Chirurgia Pediatrica all'ospedale di Legnano.

«Si tratta di una malattia acquisita (non congenita, ndr) – spiega il dott. D'Alessio – che ha un'incidenza del 2,5-3 per mille nei pazienti tra i 15 e i 30 anni, soprattutto maschi e soggetti in sovrappeso. Una malattia dovuta all'incarnimento dei peli nel solco intergluteo e fortemente invalidante. Nei tempi passati, anche se operata, la malattia aveva delle percentuali di recidiva molto elevate (30-40%) che comportavano soprattutto una serie di medicazioni infinite e dolorose che determinavano l'assenza da scuola, dall'attività sportiva e lavorativa, per lunghi periodi di tempo, senza contare che non ci si poteva sedere o fare la doccia». 

Una malattia dolorosa che compare in età adolescenziale proprio perchè in questo periodo la stimolazione ormonale determina una crescita dei peli che prima non c'erano e che crescono all'interno del tessuto, determinando una grossa infezione e infiammazione. «Si è sempre creduto che questa malattia fosse dovuta a bulbi piliferi cresciuti sotto il tessuto nella zona interglutea – sottolinea il dottore –. Sinus Pinolidalis significa "nido di peli": i peli che si incarnano determinano una reazione infiammatoria e creano una specie di cisti. Intorno ai peli si crea un tessuto di infiammazione con i germi che entrano in profondità. Nelle fasi iniziali della malattia è sicuramente importante una buona igiene e disinfezione ed evitare di stare troppo seduti». 

Se prima si riteneva di dover asportare tutto il blocco di tessuto fino alla fascia presacrale, lasciando così una grossa ferita che ci metteva mesi a guarire, ora si è capito che anche per la malattia del seno pilonidale si può intervenire con la chirurgia mini invasiva: «Oggi, grazie all'invenzione di uno strumento, lo fistuloscopio, il chirurgo riesce a vedere tutta le lesione, inquadrare il tragitto fistoloso, andare a vedere se ci sono dei peli e tramite una serie di piccoli strumenti miniaturizzati, come una pinza, si riesce a fare una bonifica e togliere completamente tutti i peli, o bruciare tutti i tessuti infiammatori e tutto il tragitto fistoloso e infine pulire tutta la cavità». 

L'intervento viene eseguito in anestesia locale, con una blanda sedazione, che permette al paziente di alimentarsi già dopo mezz'ora e di essere dimesso la sera stessa. Inoltre, il soggetto operato può riprendere in brevissimo tempo le proprie attività e, soprattutto, «deve sottoporsi ad un numero di medicazioni ambulatoriali estremamente ridotte e molto poco dolorose in quanto vengono lasciati solo uno o due piccoli forellini attraverso i quali i genitori fanno lavaggi quotidiani per permettere alle secrezioni di uscire».

«Il metodo mini invasivo è stato utilizzato in circa 50 pazienti –  conclude il dottor D'Alessio – con sole due recidive e, entro un mese dall'intervento chirurgico, il paziente è completamente guarito. Questa tecnica viene adottata anche in altri centri, dove sono state riportate percentuali di successo e di recidive pari alle nostre». 

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Pubblicato il 02 Febbraio 2018
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