Cambia sesso, ma non cambia l'abitudine di farsi mantenere dal padre, così la querelle familiare finisce davanti alla Corte di Cassazione.

I giudici del Palazzaccio sono stati chiamati in causa da un 30enne – che prima era una lei – per scrivere l'ultima parola su una vicenda giudiziaria iniziata davanti al Tribunale di Roma, al quale il giovane si era rivolto per ottenere l'incremento dell'assegno di mantenimento mensilmente pagatogli dal padre. Incremento chiesto ed ottenuto, ma poi diventato oggetto del secondo grado di giudizio davanti alla Corte d'Appello capitolina, alla quale il padre si è rivolto per ottenere la revoca dell'"assegno del contendere".

L'appello del padre ha incassato il placet della Corte romana, che ha revocato l'assegno di mantenimento a partire dall'agosto 2016: fino a quella data, infatti, la «situazione di dipendenza economica del figlio non era dovuta ad inescusabile trascuratezza, ma piuttosto alle difficoltà psicologiche, esistenziali e sanitarie connesse al percorso intrapreso di adeguamento dei caratteri sessuali dal femminile al maschile». Dopo, il processo si può considerare concluso e il giovane può dirsi in grado di "conquistare" la propria indipendenza economica.

Un verdetto che ha trovato conferma nell'ordinanza della sesta sezione civile di Piazza Cavour, che ha ribadito che la «considerevole distanza temporale» dalla conclusione del processo fa venir meno, in assenza di prove contrarie, il presupposto della situazione di difficoltà.