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Don Mauro Bonzi e i deportati di Legnano nei lager nazisti

Unico sacerdote di Legnano e dell’intera diocesi milanese a essere deportato in un lager nazista

All’oratorio del S.S. Redentore (Via Barbara Melzi) si è tenuto un incontro dedicato a don Mauro Bonzi, nato a Legnanello nel 1904. Fu l’unico sacerdote di Legnano e dell’intera diocesi milanese a essere deportato in un lager nazista da cui tornerà debilitato e pochi anni dopo la liberazione morirà di tubercolosi.

Per approfondire la figura di don Bonzi:

http://restellistoria.altervista.org/pagine-di-storia/giorno-della-memoria/don-mauro-bonzi-un-sacerdote-legnanese-nellinferno-di-dachau/

L’incontro è stato reso possibile grazie all’impegno di don Francesco, Federico Peri e Stefano Quaglia ai quali vanno i nostri ringraziamenti. I Numantini hanno cantato alcuni brani del loro repertorio.

Dopo il ritratto di don Bonzi elaborato da Giancarlo Restelli, Renata Pasquetto ha raccontato il dramma dei tanti deportati dal Legnanese verso i lager nazisti.

I deportati Legnano

“Don Bonzi è solo uno dei tanti deportati da Legnano. Lasciamo scorrere i loro nomi. Erano operai, un ingegnere della Tosi, partigiani combattenti o ragazzi legati alla Resistenza cattolica che a Legnano si era sviluppata attorno alle parrocchie di San Magno, di S. Ambrogio, dei S.S. Martiri ma soprattutto attorno alla figura di Don Carlo Riva, coadiutore di San Domenico. Sono tanti: trentacinque.

Franco Tosi, 5 gennaio 1944

Quelli che ogni anno vengono ricordati sono i lavoratori della Franco Tosi. Ricordati grazie all’ANPI, all’Amministrazione comunale e agli operai di oggi della Tosi.

Era il 5 gennaio 1944. C’era sciopero. I fascisti alla mattina sono entrati in fabbrica ma ne sono stati cacciati con la forza. Allora hanno chiesto aiuto ai tedeschi. Il comando tedesco di Legnano ha chiesto aiuto al comando milanese. I tedeschi da Milano sono partiti subito con camionette e mitraglie. Arrivano in paese, lo girano tutto, non trovano nessun fascista allarmato che li aspetta e non trovano nemmeno la Franco Tosi. Telefonano allora al comando a Milano e scoprono d’aver capito male la destinazione: non trovano la Franco Tosi perché la Franco Tosi è a Legnano e i tedeschi sono andati invece a Melegnano!

Furibondi (anche per la figuraccia) fanno dietrofront e piombano nelle primissime ore del pomeriggio sulla Franco Tosi.

Perché ci fosse sciopero e perché fascisti e tedeschi sono intervenuti e ciò che è accaduto ce lo raccontano Dario Venegoni, figlio di Carlo, e Teo Sant’Ambrogio, presente quel giorno e fratello di Angelo.

I camion attendevano sul piazzale della stazione e gli operai sono stati portati al carcere di Milano, il carcere di San Vittore. I cortili avevano le paratie a raggera per isolare i detenuti anche nell’ora d’aria, quando rarissimamente veniva concessa. Sempre chiusi in celle buie, fredde, grandi 3 passi x 5.

Era ben peggio di quanto non vi possiate immaginare.

E’ qui che è stato rinchiuso anche don Bonzi e come lui tutti i partigiani di Legnano poi sopravvissuti fortunosamente o fucilati o deportati.

Vivere a San Vittore era un vero inferno, anche per un sacerdote. Volete un’idea? Il libro “Triangolo rosso” di Paolo Liggeri. Poi, ma soltanto poi, quando cercate la biografia su internet scoprite si tratta di “Don” Paolo Liggeri, un sacerdote.

Il campo di Mauthausen

E dopo quest’inferno un altro ancora peggiore: Mauthausen.

Nel 2014 l’ANPI ha pubblicato un libro con una ricerca storica che ha raccolto la storia di 321 deportati politici della nostra zona, un’area che va più o meno da Rho a Gallarate, da Magenta a Saronno; deportati per la maggior parte nel lager di Mauthausen e il 53,6 % di loro sono morti nei lager. E tra i deportati di Gallarate si è raggiunto addirittura il 75,3%.

Vincenzo Pappalettera, deportato a Mauthausen, nel libro “Tu passerai per il camino” ci spiega il perché:

“La possibilità di sopravvivere è minima. Mauthausen è un lager di sterminio, dove cioè noi prigionieri siamo destinati a morire dopo qualche settimana; al massimo possiamo resistere tre o quattro mesi, durante i quali siamo sfruttati in duri lavori utili al Reich.

Botte giorno e notte. Una zuppa di rape, poco pane ammuffito e una noce di margarina o una fettina di salame sono il solo nutrimento per una intera giornata. Pugni e calci. Poche ore di scomoda tregua è il riposo, in quattro per ogni pagliericcio largo ottanta centimetri, lungo un metro e ottanta. Calci e bastonate. Vecchie e ridicole divise militari di guerre dimenticate pretendono di ripararci dal freddo. Altri calci, ancora pugni e bastonate, fino a morire sfiniti dalla fame, dal freddo, spesso sul posto di lavoro, talvolta di morte violenta, puniti per supposte o banali colpe.

I cadaveri vengono bruciati nei forni crematori. Tutto è organizzato per farci sparire senza lasciare traccia.”

Marzo 1944, il mese tragico delle deportazioni da Legnano

A gennaio 1944 gli operai della Tosi deportati a Mauthausen sono otto. A marzo 1944 un’altra ondata di scioperi e altri sette lavoratori della Franco Tosi, deportati.

Ai lavoratori della Tosi vanno aggiunti i due lavoratori della Ercole Comerio, che si trovava in via Gaeta, di fronte alla stazione. Era il 18 marzo ’44.

Gianfelice Moro

Agli inizi di marzo, nel trambusto degli scioperi, anche uno studente di chimica di 21 anni viene catturato e deportato. Morirà nel lager di Ebensee. Si chiamava Moro di cognome ma era biondo, alto, con gli occhi azzurri. Queste sue caratteristiche non comuni hanno permesso di riconoscerlo come il partigiano sorpreso a buttare chiodi a tre punte per forare gli automezzi tedeschi e fascisti. Gianfelice Moro era un partigiano cattolico della Brigata Carroccio, che faceva riferimento a Don Carlo Riva, coadiutore della parrocchia di San Domenico, responsabile dell’oratorio maschile, comandante partigiano e rappresentante della Democrazia Cristiana nel CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Legnano.

A gennaio invece nel clima di tensione per gli scioperi era stato catturato Candido Poli.

I fratelli Venegoni

Altri partigiani nel ’44 vengono catturati: i fratelli Venegoni. Mauro viene torturato e ucciso, medaglia d’oro al valor militare. Guido è catturato e scappa, ricatturato, stanno per fucilarlo in piazza S. Magno a Legnano ma non osano, lo incarcerano, scappa ancora: non lo prendono più.

Carlo e Pierino vengono deportati. Carlo viene inviato al lager di transito di Bolzano-Gries: organizza la resistenza interna al lager e organizza la sua fuga. Dei tedeschi a bordo di un’auto di lusso lo prelevano dal campo di Bolzano, ma non sono tedeschi, sono i suoi partigiani provenienti da Legnano.

La futura moglie di Carlo, Ada Buffulini, deportata con lui nel lager di Bolzano non lo perdonerà mai di non aver avvisato nemmeno lei della sua fuga. Pierino invece finirà nel lager di Hikdorf, oltralpe. Anche lui però fuggirà, pochi giorni prima della fine della guerra, e tornerà in Italia a piedi.

Gli Internati Militari Italiani

E poi ci sono i militari, deportati perché dopo l’armistizio dell’8 settembre hanno scelto di non collaborare con fascisti e nazisti. I soldati vennero rinchiusi in Stalag e al primo rifiuto a collaborare con SS e RSI (Repubblica Sociale Italiana) inviati al lavoro. Gli ufficiali vennero rinchiusi in Oflag, minacciati, affamati, vessati da continue richieste di collaborazione e nonostante 70-80-100 “no” inviati anch’essi, dalla fine del 1944, al lavoro coatto. La qualifica IMI, Internati Militari Italiani, li escludeva dalla protezione della Convenzione di Ginevra per i prigionieri di guerra. Un nome per tutti: il comm. Luigi Caironi, rinchiuso nello stammlager di Hammerstein.

Alessandro Natta nel suo libro “L’altra resistenza”, scrive:

“Noi abbiamo avuto una sorte diversa da quella dei prigionieri dei campi di sterminio, dei lager politici, anche se occorre dire che non vi fu una differenza nella sostanza ma solo nel grado di intensità della persecuzione. Quando i nazisti decisero di usare contro di noi la rappresaglia feroce era ormai troppo tardi. L'ordine fu scritto e firmato da Goebbels. La scadenza: 30 marzo 1945. Ma non venne eseguito.”

Altre nobili figure

E poi ci sono i NON-deportati, i legnanesi che grazie all’intervento di qualcuno non sono finiti nei lager. Come Francesca Mainini, arrestata perché coinvolta nell’attentato all’albergo Mantegazza organizzato e portato a termine la sera del 4 novembre ’44 dal comandante partigiano della 101^ Brigata Garibaldi GAP Samuele Turconi,

Si sono salvati gli operai, che le ditte non cedevano al Reich per il lavoro coatto dichiarandone la indispensabilità in quanto industrie belliche.

Le ragazze nubili della tessitura per legge avrebbero dovuto finire in Germania a lavorare ma mons. Virgilio Cappelletti, prevosto di San Magno, ha sposato con una deroga speciale del Card. Schuster il giorno prima della partenza fissata, con corso fidanzati e pubblicazioni della durata di pochi secondi, non poche operaie.

E gli ebrei, che non sono finiti ad Auschwitz. A Legnano non ve ne erano di residenti ma ne sono passati tanti nelle case dei partigiani cattolici e soprattutto nell’Istituto Barbara Melzi, nascosti dalle suore in attesa del momento opportuno per raggiungere il confine con la Svizzera e salvarsi.

Credere nell’Uomo

Qualcuno, non ricordo chi, aveva detto che nei lager era difficile credere in Dio, ma era ancora più difficile credere nell’Uomo. Eppure i deportati di Legnano, chi ha fatto la Resistenza combattendo o anche solo aiutando i perseguitati, hanno voluto credere nell’Uomo, hanno rischiato, hanno speso se stessi per gli altri. Con grandi o piccole cose, come ci ricorda anche la nostra partigiana ultranovantenne Piera Pattani.

E allora il mio augurio per la Santa Pasqua è questo: di trovare in noi il coraggio, le motivazioni e la volontà di spenderci per gli altri come hanno fatto le persone di cui vi abbiamo parlato stasera”.

Renata Pasquetto, Anpi Legnano

Marco Tajè
direttore@legnanonews.com
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Pubblicato il 15 Marzo 2018
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