Quantcast

I deportati del 5 gennaio 1944 della Franco Tosi

In questo primo racconto, Giancarlo Restelli e Renata Pasquetto tornano ai giorni tragici dell’inverno 1943-44 nella fabbrica metalmeccanica legnanese...

L'annuale cerimonia di commemorazione in fabbrica si svolgerà venerdì 16 gennaio 2015


I deportati del 5 gennaio 1944 della Franco Tosi

Prima parte

Sciopero! Perché?

Le paghe erano più basse rispetto a Milano, in mensa gli impiegati avevano diritto a un primo e ad un piatto di “pietanza” (un secondo) mentre gli operai avevano diritto solo ad un piatto di minestra, pure scarso, e di rado una o due mele. E se vogliamo ben guardare un operaio consuma più calorie di un impiegato.

Questa era la situazione nell’inverno 1943-44 nella fabbrica metalmeccanica Franco Tosi di Legnano. Era una fabbrica importante, che contava quasi 6.000 lavoratori, una fabbrica di motori e turbine e di navi militari (nel cantiere di Taranto), che era stata riconvertita, come la maggior parte, esclusivamente per la produzione bellica, “ma sempre nel nostro campo specifico. Niente armi. A differenza della prima guerra mondiale, questa volta alla Tosi non era stato chiesto di fabbricare nemmeno un moschetto” (Anonimo-1, tecnico disegnatore della Tosi, intervistato per il libro “Quelli della Tosi. Storia di un’azienda”). Data la sua importanza, i nazisti, a partire dal 23 ottobre 1943, avevano fatto della Franco Tosi una “azienda protetta”, controllata e gestita direttamente da loro, stabilendo tipo di produzione e ritmi di lavoro.

Solitamente le paghe arrivavano sotto forma di acconto al 24 del mese e come saldo a conguaglio il 9 del mese successivo. Agli inizi di gennaio 1944 alla Franco Tosi si sperava in un aumento di stipendio, ma le trattative tra i dirigenti della Tosi e i membri della Commissione Interna, rappresentanti delle maestranze, stavano andando a rilento e c’era l’impressione (fondata!) che non si sarebbe arrivati a nessun accordo: i dirigenti infatti sostenevano di non poter decidere autonomamente e che i lavoratori avrebbero dovuto trattare direttamente con i tedeschi.

La gente era esasperata: la guerra, la penuria di cibo, la difficoltà di procurarselo alla borsa nera a prezzi insostenibili, il freddo dell’inverno e la penuria di combustibile, tutto dirottato verso le industrie dedite alla produzione bellica, già solo questo sarebbe stato sufficiente a creare malcontento. Il “Comitato Segreto d’Agitazione del Piemonte, della Lombardia e Liguria” aveva proclamato uno “sciopero generale di tutte le fabbriche … dei principali centri industriali d’Italia” invitando gli operai, tecnici ed impiegati ad agire: “fermate le macchine, chiudete i registri! Restate però ai vostri posti di lavoro … inviate dai padroni delle delegazioni … incaricatele di presentare le vostre dettagliate rivendicazioni”.

Con l’autunno del ’43 nascono un po’ in tutte le fabbriche di Legnano i “Gruppi operativi clandestini di fabbrica” detti anche “Comitati di Agitazione”. Il più attivo e più numeroso è quello della Franco Tosi, guidato da Angelo Sant’Ambrogio e coordinato dai fratelli Venegoni.

I primi scioperi

La situazione economica, insostenibile, da tempo esasperava gli animi. Le agitazioni iniziate già nel mese di settembre erano sfociate poi in qualcosa di più consistente: “il 18 novembre 1943 ebbe luogo il primo sciopero sotto l’occupazione tedesca. … Il generale Otto Zimmermann minacciò di mettere in pratica certe disposizioni di Hitler, il quale aveva ordinato di arrestare, qua e là un migliaio di operai. … Quella volta lo sciopero rientrò ma solo per riesplodere il 13 dicembre, con più violenza” (Anonimo-1).

Un manifestino sequestrato dai carabinieri di Busto Arsizio proprio il 13 dicembre ’43, probabilmente frutto della attività dei fratelli Venegoni in tutto l’Alto Milanese, invitava: “fermate le macchine, scioperate, manifestate in strada contro i padroni profittatori e contro gli hitlero-fascisti. I magnati dell’industria hanno accumulato miliardi di profitti e vi fanno morire di fame”. Seguivano le richieste: “pagare gli aumenti che gli operai hanno strappato con la lotta, aumento dei salari del 100%, raddoppiare le razioni dei generi alimentari, il pane a 500 grammi per tutti i lavoratori, distribuzione della razione di olio di novembre-dicembre, sospensione dei licenziamenti”.

Fin dalla metà del mese di dicembre – ricordava Franco Landini, allora 16enne operaio alla Tosi – iniziarono gli scioperi e, parallelamente, i tentativi di accordo e di mediazione tra la direzione e la Commissione Interna che si era costituita nelle giornate successive al 25 Luglio ed alla caduta di Mussolini.” Il 16 dicembre le agitazioni dalla Franco Tosi dilagarono nel legnanese e in tutto il territorio a nord di Milano (160-170 mila lavoratori). Per tutto il mese ci furono frequenti fermate e rallentamenti di produzione. I fascisti della Ettore Muti iniziarono la loro attività di violenze con arresti e percosse. I tedeschi si presentavano davanti ai cancelli, entravano armati nelle officine.

Un rapporto della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana, cioè la polizia fascista) riservato al duce denuncia per il 29 dicembre che 350 operai del reparto acciaierie avevano ripreso uno sciopero bianco. La Franco Tosi “aveva una sezione staccata fuori dalla stazione, era l’acciaieria che occupava circa 500 dipendenti. Non è che era una piccola acciaieria: faceva grossi lavori!” (Teodoro Sant’Ambrogio, operaio alla Tosi). Trattandosi, per il momento, di un solo reparto che costituiva meno di un decimo delle maestranze complessive, il sindacalismo fascista, che proprio in quel periodo cercava di ricostituire una sua base in fabbrica, cercò di capire cosa stava succedendo per prevenire ulteriori sviluppi, ma, forse spinto dalle pressioni tedesche, scelse di risolvere la questione con repressioni e brutalità. Il delegato di zona dell’Unione lavoratori dell’industria proibì la riunione delle Commissioni operaie minacciando di far intervenire i carabinieri per farli arrestare. Questo scontentò anche la GNR: “tale azione ha impedito di conoscere le cause reali che hanno nuovamente indotto le maestranze alla ripresa dello sciopero”. E le agitazioni si estesero al Cotonificio Bernocchi, alle tessiture Ettore Agosti e Pessina-Castoldi, alla fabbrica di biciclette “Emilio Bozzi” e a numerose fabbriche dell’Alto Milanese.

Dal 3 di gennaio ’44 si scioperava apertamente a Milano, a Varese, Gallarate, Cavaria, Busto Arsizio: l’agitazione derivava soprattutto dalla fame e aveva come rivendicazione centrale l’aumento dei salari. Ma il problema era realmente solo di ordine economico?

Franco Landini ci raccontava che “all’interno delle fabbriche in molti reparti si contestava il sindacato fascista e, se è vero che gli scioperi si attuavano in momenti in cui non c’erano gli alimenti necessari per poter vivere, è anche vero che era sempre più presente la volontà non solo di combattere il fascismo ma anche di creare una società diversa, una società che eliminasse qualunque eredità del fascismo. Mi pare che sia un po’ riduttivo e politicamente sbagliato pensare che gli scioperi fossero stati originati solo dalla mancanza degli alimenti utili al sostentamento quotidiano; infatti oltre a ciò c’era anche una volontà politica che mirava a ribaltare i vecchi assetti istituzionali ed economico-liberali e a costituire una società diversa e nuova. C’era insomma un clima di liberazione, c’era qualcosa nell’aria che era il preludio della Liberazione”.

Già durante l’estate del 1942 in Italia vi furono ondate di scioperi spontanei per richiedere aumenti salariali e maggiori quantità di cibo. In Romagna manifestarono operai e lavoratori agricoli. Il 5 marzo 1943, alla Fiat di Torino, i lavoratori di un’officina incrociarono le braccia, gridando “sciopero” da un reparto all’altro. È l’inizio di una stagione di manifestazioni sindacali che avrà termine con la Liberazione. I primi grandi scioperi organizzati a Legnano avvennero proprio in quel marzo ’43.

Operai e partigiani

Piera Pattani, allora 16nne operaia alla tessitura Giulini e Ratti, ricorda quegli esordi del’43, di cui fu protagonista, su invito del futuro capo partigiano Arno Covini: “L’Arno mi si avvicina e mi dice: «Piera ho un mestiere da fare, stiamo organizzando uno sciopero, ho qui dei volantini. Li devi portare alle persone di cui ti do l’indirizzo. Tu vai lì e glieli porti perché loro ti aspettano». E poi mi ha detto: «Domani alle 10.00 c’è sciopero». Allora sono andata dal Cesare Oldrini del Brusadelli, dalla Rossetti Carolina della Cantoni, dalla Norma del Vianello. Li ho portati alla Bernocchi, alla De Angeli-Frua. Alla Tosi li ha portati l’Arno, al Caironi Ettore [ndr Espen], c’era dentro il Borromei, che era del partito e altri compagni che non ci sono più. … E poi l’Arno mi disse «guarda che domani mattina ci sarà una squadra che gira» e infatti la mattina sono arrivati, sono saliti su e hanno fermato le trasmissioni, hanno fermato la fabbrica… perché quando tu fermi la tessitura, fermi tutto. E i fascisti hanno portato via due donne delle nostre, due operaie – sono già morte tutte e due – una era la Carla Brega di Pavia e l’altra la Carolina Rossetti che abitava in via Quintino Sella. E io sono scappata sotto un telaio perché uno mi ha indicata come quella che aveva portato i volantini. E poi molte donne sono uscite, altre si sono spaventate e insomma, c’è stato un disastro quella mattina lì… e sono venuti quelli della Tosi, però lo sciopero è riuscito in tutta la città. Tutti che uscivano dalle fabbriche dicendo: «che succede, che succede?». E allora da lì è iniziata tutta la mia storia”, una storia che ha portato Piera a 16 anni ad essere la responsabile della distribuzione della stampa clandestina e della trasmissione dell’ordine di sciopero nelle fabbriche legnanesi, nonché in seguito valente staffetta partigiana e collaboratrice dei vari comandanti che si sono avvicendati per le formazioni partigiane legnanesi 101^ e 182^ Brigata Garibaldi.

Ma “prima ancora degli scioperi del ’43, si erano fatti degli scioperi bianchi all’interno delle aziende, erano nate le Commissioni interne, si erano usati gli strumenti necessari per sabotare, rallentare sempre di più la produzione bellica” (Landini). Uno dei sistemi di rallentamento era, per esempio, “tirare per le lunghe l’elaborazione di alcuni disegni” (Anonimo-1) o collocare i ragazzi giovani inesperti, gli apprendisti, in punti critici della catena di montaggio. I tedeschi si infuriavano ma la scusa era buona: anche i ragazzi dovevano imparare… E poi, anche dopo l’occupazione dei tedeschi dall’11 settembre 1943, “un giorno era una macchina utensile che si inceppava, un altro giorno si guastava una gru, e così via. Tutto era fatto con estrema prudenza, perché le SS non dormivano e ci voleva un niente perché un operaio venisse considerato un “sabotatore”, il che corrispondeva ad una condanna a morte” (Anonimo-1).

La centralità della Tosi

“Nella Tosi – continuava Landini – eravamo più di cinquemila dipendenti, quasi un paese; c’erano reparti molto combattivi come i calderai, considerati un po’ la “Stalingrado” della fabbrica, insieme a quelli dell’acciaieria e della fonderia. … Quando si parla degli anni 1943 e 1944 non bisogna però dimenticare che a Legnano non esisteva soltanto la Tosi, ma anche una miriade di fabbriche in cui si organizzava la resistenza sindacale e politica, come le fabbriche tessili Brusadelli [ndr: 1.400 lavoratori], Cantoni [2.600], Manifattura De Angeli Frua [1.900], Agosti [800], oppure come le fabbriche metalmeccaniche Comerio, Bozzi; insomma c’era veramente un’attività che esprimeva sempre più la capacità politica della classe operaia di creare il sostegno necessario per poter giungere alla conclusione politica del 25 Aprile 1945”. E proprio di questo avevano timore i fascisti repubblichini legnanesi e i nazisti, che le agitazioni interne alla Franco Tosi fossero un esempio per le altre aziende del circondario e da lì chissà dove si sarebbe arrivati… Difatti, “il movimento esistente all’interno delle aziende si propagò in modo analogo anche sul territorio, con l’organizzazione di interventi di sabotaggio che servivano di supporto ai partigiani operanti in zone diverse” (Landini) e già a partire da ottobre 1943 erano funzionanti i collegamenti fra i Comitati sindacali clandestini delle principali fabbriche di Legnano, Busto Arsizio, Gallarate e Saronno.

Il volantino stampato clandestinamente a dicembre ’43 dal “Comitato Segreto d’Agitazione” non si limitava a proporre lo sciopero: “chiedete che cessino tutte le violenze naziste e fasciste … chiedete il rilascio di tutti i carcerati politici. Chiedete che non si produca più per la guerra nazi-fascista … Manifestate fermamente la vostra decisione di non permettere il trasporto delle vostre industrie in Germania. Non un uomo né una macchina in Germania!

La deportazione verso la Germania era un rischio reale: il comando tedesco a partire da metà 1944 “decise di trasferire in Germania gli impianti e il macchinario delle principali industrie lombarde. Cominciò con l’Innocenti: 1.031 macchinari dell’Innocenti, caricati su 350 carri-merci, partirono per la Germania. La Pirelli dovette murare la sue macchine più sofisticate per salvarle dalla razzia nazista e altrettanto fecero le altre industrie milanesi. E alla Tosi? La Tosi non venne toccata. Avevano cominciato con le fabbriche di Milano, che erano molte; probabilmente non ebbero il tempo di arrivare fino a Legnano. … Nel corso dell’ultimo anno di guerra la classe operaia visse nel terrore della deportazione. Parlo della classe operaia in generale, non solo delle maestranze Tosi. Il governo tedesco pretendeva che la Repubblica Sociale gli fornisse non solo impianti e macchinari, ma anche le braccia necessarie per farle produrre in terra tedesca. Alla fine del ’43 l’obiettivo era di trasferire in Germania 200.000 lavoratori, cifra che, in seguito, fu portata a un milione” (Anonimo-1).

Aveva ragione il Comitato Segreto d’Agitazione di dare l’allarme: “non un uomo né una macchina in Germania!”

Renata Pasquetto e Giancarlo Restelli, Anpi Legnano

– I deportati di Legnano

https://www.youtube.com/watch?v=g3-KFi7rhbM

– Legnano a Mauthausen e Dachau

https://www.youtube.com/watch?v=TEgBUx6TKW0

Redazione
info@legnanonews.com
Noi della redazione di LegnanoNews abbiamo a cuore l'informazione del nostro territorio e cerchiamo di essere sempre in prima linea per informarvi in modo puntuale.
Pubblicato il 31 Dicembre 2014
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Segnala Errore