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Giorno della Memoria: dalla Bassetti di Rescaldina ai lager nazisti

Con questo primo servizio di Giancarlo Restelli e Renata Pasquetto, ricordiamo le Giornate della Memoria - Prima storia, quella di cinque giovani operaie deportate nei lager...

Giorno della Memoria
Settant’anni fa (27 gennaio 1945)

la liberazione di Auschwitz

Il mio primo direttore del quotidiano col quale da giovane iniziai a collaborare fu Davide Lajolo, per tutti noi il mitico “Ulisse”. Ad una riunione dei corrispondenti una volta ci spiegò come un giornale avesse il compito di informare ma anche di “formare” il lettore, offrendogli un ventaglio di elementi il più possibile ampio, con posizioni e valutazioni a volte anche contrastanti,  in modo che il lettore stesso si sentisse nelle condizioni di maturare una propria  presa di posizione e di comportarsi poi in modo conseguente.
Dico questo, riconoscendo a Legnano-News di aver da tempo intrapreso questa non facile impostazione del giornalismo informativo. Vuole essere questo un mio insignificante ma sincero riconoscimento al lavoro del suo direttore Marco Tajè e dei suoi collaboratori. Non faccio il turiferario, non ne avrei motivo.
La decisione di Legnano-News di ricordare il “Giorno della Memoria” con una serie di pezzi di Giancarlo Restelli e di Renata Pasquetto sui tanti Legnanesi che nel recente passato hanno patito, sacrificato la propria vita o subito l’orrenda detenzione nei lager nazisti, per consegnarci quella libertà di cui oggi godiamo, si inserisce a pieno titolo nella missione consapevole ed alta di formare il lettore ai sentimenti di tolleranza, solidarietà e democrazia.
Leggeremo delle operaie della Bassetti che finirono addirittura ad Auschwitz per aver scioperato e di altri nostri concittadini.
Per molti di noi questi nomi, queste persone rappresentano solo delle ombre del passato, ma dare una voce a queste ombre fa di noi dei cittadini più consapevoli dell’inestimabile bene della libertà che ci è stato consegnato e che abbiamo il dovere di difendere contro la minacciosa prepotenza di tutti i fascismi di oggi.
Coloro che  hanno perso la vita per la nostra libertà, per una società più giusta non saranno del tutto morti finché ci sarà anche una sola persona in grado di ricordarli. 

Luigi Botta, ANPI – Legnano


Dalla Bassetti di Rescaldina ai lager nazisti
La vicenda di cinque giovani operaie

La nostra storia inizia il primo marzo 1944 quando in tutta Italia le grandi fabbriche del Nord si fermano nello stesso momento. Sono le ore 10 del mattino e da quel momento fino all’8 marzo 500.000 lavoratori incroceranno le braccia contro la fame, la guerra, per un aumento salariale e migliori condizioni di lavoro nelle fabbriche.
È una pagina, senza ombra di retorica, che può definirsi eroica nella storia del movimento operaio italiano: scioperare per una settimana nonostante la guerra, i fascisti e i nazisti che ormai occupavano il centro-nord Italia, scioperare con il rischio del licenziamento o peggio, per gli uomini, l’arruolamento nell’esercito o ancora il rischio di deportazione in Germania.
Era necessario avere molto coraggio e non c’è dubbio che in quei giorni coraggio, determinazione, capacità organizzativa non mancarono.
Anche alla Bassetti in quei giorni si scioperò così come alla Franco Tosi, alla Cantoni, alla Comerio di Legnano e Busto Arsizio fino ad arrivare alle piccole e medie imprese del legnanese.

20 marzo 1944
La storia delle cinque operaie deportate inizia esattamente il 20 marzo del ‘44. Dal rientro in fabbrica alla fine degli scioperi erano passati dodici giorni. Tutto era quindi calmo e tranquillo alla Bassetti ma era quello il momento in cui operare gli arresti per intimidire le maestranze affinché non ci fossero più scioperi. 
Adalgisa Casati, Pierina Galbiati, Giuseppina Parma, Rosa Rossetti e Irene Rossetti furono portate inizialmente alla caserma di Cerro Maggiore con un’auto dei carabinieri. Il loro stato d’animo era tranquillo: non capivano il motivo della convocazione a Cerro, pensavano ad un equivoco, a un chiarimento e poi di nuovo in fabbrica.
Invece furono portate subito nel carcere di San Vittore e tenute al muro con un fucile puntato su di loro. Nella notte ci fu il trasferimento alla caserma fascista di Bergamo dove rimasero tre settimane prima di arrivare a Mauthausen su un carro bestiame.

Perché fu decisa la loro deportazione? 
Difficile dire. Dopo il ’45 non ci fu un processo volto a stabilire chi e perché aveva fatto i loro nomi. Tutto fu messo sotto silenzio. Quali furono le responsabilità della direzione Bassetti? E quella delle autorità locali fasciste?
Sappiamo che le nostre cinque operaie non facevano parte della Resistenza e neppure avevano legami politici con i partiti antifascisti. 
Sappiamo però da fonti storiche che nelle autorità nazi-fasciste c’erano due priorità fondamentali:

. terrorizzare i lavoratori con la minaccia della deportazione nei lager
. rastrellare manodopera per le industrie belliche tedesche

Con gli arresti e le deportazioni si ottenevano tutti e due gli obiettivi: rendere difficili nuovi scioperi, aumentare la produzione, riportare l’ordine nelle fabbriche e rifornire di nuova manodopera giovane la terribile fornace dei campi di concentramento 

Da Mauthausen ad Auschwitz
Dopo Mauthausen vennero deportate in un carcere di Vienna e poi addirittura ad Auschwitz dove venne a loro marchiato sul braccio il numero di matricola. Qui rimasero per alcuni mesi.
Poi i loro destini si separano: 
. Adalgisa Casati, Pierina Galbiati e Giuseppina Parma sono deportate a Ravensbruck e poi a Neuengamme
– Rosa Rossetti e Irene Rossetti a Flossenbuerg

In poco più di un anno di deportazione tra carceri e lager passarono in sei-sette diverse strutture dove conobbero il terrore, la fame, la disperazione, la sporcizia, il lavoro sfibrante, il loro essere un nulla. Ma seppero reagire così come facevano le donne nei lager: pensando alla propria famiglia, ai progetti di vita che avevano già imbastito, grazie alla solidarietà tra internate.
Con quale spirito tornarono a casa dopo tante traversie? Sicuramente erano magre e pallide da far paura ma la voglia di ricominciare era troppo forte.
L’emozione del ritorno a Rescaldina è ben sintetizzata da Rosetta Rossetti quando arrivò alla stazione il 10 settembre del ’45: “La tradotta si è fermata per me a Rescaldina. Ho preso una bicicletta che c’era lì e via, come il vento, verso casa”, e sembra di vederla volare come il vento a riabbracciare piangendo i propri cari.

Nel mese di dicembre ‘14 si è svolta a Rescaldina una cerimonia pubblica in cui è stata scoperta una targa dedicata alle coraggiose operaie.            
http://legnanonews.com/news/15/43365/

Giancarlo Restelli e Renata Pasquetto

La testimonianza in video di Adalgisa Casati
http://legnanonews.com/video/J6A-Hf2H1R4/

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Pubblicato il 24 Gennaio 2015
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