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Morte delle sorelle Agrati, la difesa chiede i domiciliari per il fratello accusato di omicidio

La difesa di Giuseppe Agrati ha puntato il dito contro alcuni aspetti controversi delle indagini emersi dal processo, chiedendo i domiciliari per l'imputato

incendio via roma cerro maggiore

Uno dei due contatori asportato dal punto in cui si trovava dopo l’incendio, la scena del crimine non adeguatamente preservata, la ricerca di eventuali tracce di sostanze che potrebbero aver provocato il rogo solamente due settimane dopo la notte in cui persero la vita le sorelle Agrati, il pezzo di tubo mai ritrovato e tutte le persone che hanno avuto accesso alla casa al civico 33 di via Roma: per i legali di Giuseppe Agrati, a processo per il duplice omicidio delle sorelle, ce n’è abbastanza per parlare di indagini «superficiali» e far uscire il 70enne dal carcere.

Dopo un’udienza fiume di quasi 9 ore davanti alla Corte d’Assise di Busto Arsizio, la difesa dell’imputato ha chiesto il proprio assistito il “passaggio” agli arresti domiciliari puntando il dito contro tutti gli errori nelle indagini che secondo la tesi difensiva sarebbero emersi dalle prime udienze del processo. Che basterebbero, per l’appunto, a giustificare un ridimensionamento della misura cautelare disposta dal GIPreliminari del Tribunale di Busto Arsizio a carico dell’imputato, in carcere da novembre 2019.

Anche perché «l’istruttoria è ormai in fase avanzata e non c’è pericolo di inquinamento delle prove – ha sottolineato il legale del 70enne, Giuseppe Lauria- e non c’è nemmeno il pericolo che Giuseppe Agrati possa fuggire dal momento che tutto il suo patrimonio è tuttora sotto sequestro a seguito della richiesta avanzata dal nipote tre giorni dopo l’arresto». Agrati sconterebbe inoltre gli arresti domiciliari e quindi “lontano” da Cerro Maggiore.

Alla richiesta si sono opposti il sostituto procuratore generale della Corte d’Appello di Milano Maria Speranza Vittoria Mazza e i difensori delle parti civili. Per la pubblica accusa non solo pesa la circostanza che l’istruttoria non sia ancora conclusa, ma soprattutto la testimonianza del nipote dell’imputato e delle vittime, che avrebbe confermato la sussistenza delle esigenze cautelari. Facendo emergere non solo una situazione di «conflittualità» nei rapporti familiari, ma anche un «risentimento palpabile» nei suoi confronti per aver riavviato le indagini e averlo privato del patrimonio complessivo di cui sarebbe potuto entrare in possesso con la causa intentata in sede civile per l’eredità.

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 09 Febbraio 2021
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