Scelgo Fego, paese delle case interrotte,
eredità di un popolo sottratto e di un uomo a seppellire
la madre,
in aspro riferimento il benefico di un uovo lasciato
al fratello minoe.
Sì, scelgo Fego, mia immagine e somiglianza,
nella profondità la sua voce, ogni giorno venirmi
incontro, la sua notizia
giusta misura in offerta per me, che mi guarda e io
la vedo,
e nella compassione mi fa sapere, che sono io
quel silenzio di mura, quella chiusura di porte,
oscuramento io delle ante accostate, la conta dei camini
spenti,
quel paese del nulla succedere, quel paese del nulla
muoversi,
seppure l'impegno delle poche vite intorno.
E mi sembra di stare io e Fego in questo tempo
di fitta nebbia e assenza di rumori, in reciproca
comprensione,
in parità e senza disturbo di alcun disavanzo.

Roberta Dapunt,
in "Sincope" (Einaudi editore, Milano, 2018)

Ci troviamo nel Pavese. Fego è una delle minuscole frazioni del Comune di Santa Margherita di Staffora. Una decina di abitanti, una vita semplice, distanza (più che isolamento) dalle città e dalla vita frenetica dei centri di oggi. Case vuote, case antiche, vite che si incrociano e proseguono. E' questo il piccolo centro che Roberta Dapunt, poetessa originaria della Val Badia sente come "sua immagine e somiglianza". Dapunt è una voce particolare del panorama poetico italiano contemporaneo. Nata nel 1970 in Trentino Alto Adige, dove vive tuttora, oltre ai componimenti in italiano (che sono arrivati ad essere pubblicati nella raffinata collana bianca di Einaudi) ha scritto anche versi in ladino, raccolti nella pubblicazione "Nauz: versi ladini".