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Landoni: “In Lombardia serve una visione chiara. Per questo serve Gori”

La candidata consigliera regionale affronta il tema della salute, delle donne e dell'innovazione

Corsi di laurea in Scienze Biologiche e Lingue e Letterature straniere, un master per operatore servizi e iniziative ecologiche e alle spalle un lavoro di insegnante, traduttrice e dirigente in Regione. Piera Landoni, classe 1959, è stata consigliere comunale, assessore e vicesindaco a Cerro Maggiore, nonchè coordinatrice della Rete Antiviolenza Ticino Olona e presidente dell'assemblea dei sindaci della ASST Ovest Milano. Ora corre per le elezioni regionali, tra i blocchi del Partito Democratico, per sostenere la candidatura a governatore di Giorgio Gori. «In Lombardia serve una visione chiara commenta Landoni per questo serve Gori». Con lei abbiamo parlato di salute, donne e innovazione.

Per il 2018 il Pirellone ha destinato al servizio sanitario 18 miliardi e 594 milioni, mentre alla spesa socio sanitaria 1 miliardo e 712 milioni. Nel programma elettorale di Giorgio Gori si parla, ad esempio, di rivedere radicalmente il progetto di presa in carico regionale dei cronici, di tornare ad investire in prevenzione, arruolare nuovi medici e operatori per azzerare le liste di attesa, apertura degli ambulatori nei fine settimana e nelle ore serali dei giorni feriali, investimento su una pluralità di canali di prenotazione per facilitare l’accesso ai cittadini. Che risorse pensate di spostare per finanziare tutto questo?

Le risorse per realizzare tutto questo sono già all'interno della spesa citata: bisogna spostare risorse dagli ospedali alla medicina del territorio per rispondere alle nuove esigenze dei cittadini. La grande missione di Regione Lombardia in questa legislatura era riformare il servizio sanitario regionale in modo da rispondere adeguatamente ai cambiamenti che da anni stanno avvenendo nella società e che da tempo si sapeva sarebbero arrivati: l'invecchiamento della popolazione e l'allungamento dell'aspettativa di vita, le patologie plurime, le maggiori possibilità di cura e la maggior richiesta di interventi per le malattie croniche. Rispondere a queste necessità significava focalizzarsi sugli interventi che si devono svolgere prima e dopo l'episodio acuto: prevenzione, convalescenza, riabilitazione e follow up. Regione Lombardia era partita bene con l'idea di "meno ospedale, più territorio", peccato che poi la riforma abbia fallito questi obbiettivi e la Regione abbia perso un treno.

In Lombardia si è recentemente approvata la riforma della sanità. La sua attuazione sta avvenendo in questo momento. Punto critico, secondo molti, la cura ai cronici. Come pensi vada gestito il problema?

Regione Lombardia, invece di fare tutto quello che andava fatto per rispondere adeguatamente alle necessità dei malati cronici (parliamo di 3 milioni e 250mila persone, cioè il 30% dei lombardi, che allo stato attuale consuma il 70% della spesa sanitaria) ha mandato la famosa lettera a casa dei cittadini. E faccio notare sempre: une lettera senza data, senza firma e senza numero di protocollo, che quindi, così, non ha nulla di istituzionale, ma sa solo di propaganda. La lettera propone alle persone croniche di scegliere un "gestore", che può anche non essere un medico, tra i trecento elencati sul sito di Regione Lombardia affinchè questo gestore possa curare la sua patologia cronica senza code e senza stress. Peccato che quello che questa lettera non dice è che i due terzi dei medici di famiglia in provincia e i tre quarti dei medici di famiglia in città non abbiano aderito alla chiamata di Regione Lombardia per questa proposta sui cronici perchè il gestore può essere un medico, ma anche una struttura sanitaria, una casa di riposo o un qualsiasi altro soggetto accreditato. Questo gestore prende in carico solo la patologia cronica, mentre tutto il resto rimane ancora in carico al medico di famiglia. Si creano quindi due piani di assistenza che non si parlano tra loro. La presa in carico deve avvenire sulla persona nella sua interezza, sennò non si risolve il problema e si corre il rischio di avere dei doppioni, l'allungamento delle liste di attesa e aggravi finanziari. La risposta non è spezzettare la cura al paziente, ma incentivare i medici di famiglia a prendersi carico della cura della persona in luoghi preposti, come possono essere ambulatori o presidi di vicinato – come può essere la cittadella della fragilità di Legnano, che doveva sorgere al vecchio ospedale – dove sulla presa in carico si confrontano medici di famiglia, infermieri, medici specialisti e riabilitatori e dare loro supporto amministrativo. Solo così la persona è al centro. Questo già succede in altre regioni d'Italia, sia di centrodestra e centrosinistra, con risultati notevoli come Toscana, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte.

Nel programma elettorale di Gori, al capitolo sanità, si legge una proposta che tocca da vicino il mondo delle donne e un dramma che spesso devono affrontare da sole: quello dell’aborto. La Lombardia, con il suo 68,2% di medici obiettori, è tra i primi posti nelle Regioni che non applicano la legge 194/78. Come pensate di risolvere la questione?

La Lombardia, che dovrebbe essere una regione che guarda avanti, un motore d'Europa, su questo, come su altre questioni – come l'utilizzo della cannabis a scopo terapeutico per la Sla e malattie del motoneurone bocciata per motivi ideologici – rimane indietro. La legge 194 è una legge dello Stato. E non è nata per aumentare il numero degli aborti, ma per diminuirli. Se applicata bene, con consultori, aiuti alle famiglie e alle ragazze che rimangono incinta, educazione alla sessualità consapevole centra il suo obiettivo. La 194 quindi va applicata perchè è una legge dello Stato e strappa alla clandestinità il fenomeno dell'aborto ma in Lombardia sembra che se non sei un medico obiettore non fai carriera. Questo crea un deserto che non fa nemmeno emergere il fenomeno e non ci rende possibile conoscerlo davvero. Se una persona trova le porte chiuse è chiaro che si rivolge al mercato clandestino dell'aborto o, chi ha i soldi, altrove come in Svizzera. Così non aiutiamo le donne, che con un confronto con i medici magari potrebbero anche cambiare idea, pur rispettando il loro diritto  all'autodeterminazione del proprio corpo.

Settimana prossima si celebrerà la festa della donna. Parlaci di tre proposte concrete per sostenere il ruolo femminile realizzabili qui in Regione Lombardia.

Prima di tutto va risolta la questione della parità di salario e garantire la possibilità di avere la libertà di scegliere di lavorare e avere una famiglia, senza che sia una scelta obbligata da fattori esterni. Cinquemila donne ogni anno in Lombardia lasciano il lavoro alla nascita del primo figlio perchè non riescono a conciliare il lavoro di cura del bambino con l'impiego. Il mobbing e le condizioni di vita sul posto di lavoro, alle volte, sono tali che queste donne sono costrette a lasciare il proprio posto. Le tre proposte sono: politiche di conciliazione dei tempi (facendo rispettare le leggi che già ci sono, facendo fruire dei congedi parentali entrambi i genitori, far sì che la mamma non sia depotenziata o demansionata una volta che rientra sul lavoro, avere supporti con i servizi come gli asili nido e incentivare gli accordi tra istituzioni e aziende per il welfare aziendale), combattere la violenza sulle donne (intensificando le reti anti violenza istituzionali, come ad esempio la rete Ticino Olona che nel nostro territorio unisce 51 Comuni e funziona benissimo, e l'educazione al rispetto in tutte le scuole, fin dalle scuole dell'infanzia) e la salute di genere (perché il genere è un determinante importante per riconoscere le differenze nelle modalità e negli esiti di cura tra uomini e donne).

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Pubblicato il 26 Febbraio 2018
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