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Dante “fa il pieno” a Palazzo Malinverni

Successo per il primo incontro con Gianni Vacchelli e la Divina Commedia: più di 200 le persone presenti

Successo per il primo incontro con Gianni Vacchelli e la Divina Commedia: più di 200 le persone presenti nel cortile di Palazzo Malinverni di tutte le fasce d'eta'. In questa prima serata è stato presentato il tredicesimo canto dell'Inferno.

Lo scrittore con il suo discorso introduttivo ha presentato i temi presenti nel canto: il suicidio, l'Inferno come possibili fallimenti della divinita' dell'uomo, la stessa divinita' dell'uomo, ma anche l'umanita' del divino. Una riflessione di Vacchelli ha anche riguardato la nostra civilta': lo studioso ha affermato che «la nostra civilta' non ha futuro e che bisogna accorgersene per poter cambiare le cose». Oltre alla discussione questi temi, compiuta anche tramite domande ed interventi dal pubblico, Vacchelli ha analizzato anche dal punto di vista stilistico il canto, evidenziando come l'impianto ritmico dei versi suggerisca il contenuto stesso di quel canto: «il ritmo spezzato, oltre che rendere musicale il canto, vuole far intendere come amche la vita si possa spezzare».

 L'intero evento è stato trasmesso in streaming su Legnano News ed è stato introdotto dal commento di un giovane liceale del Galileo Galilei presente nella nostra redazione nel progetto alternanza scuola-lavoro, Andrea Belvisi.


Dante. Chi è Dante? Dante è senza dubbio il più grande esponente della letteratura non solo italiana, ma anche mondiale. L’Alighieri, chiaramente, non ha scritto solo la Commedia, ma in quest’opera tutti riconoscono l’apice dello straordinario genio dantesco. La Commedia è divisa, come tutti dovrebbero sapere, in tre cantiche di 33 canti l’uno: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Tra questi fa eccezione l’Inferno, che ne ha 34, ma solamente perché vi è un primo canto che è l’introduzione a tutta l’opera.

Oggi Gianni Vacchelli ci leggerà’  un canto dell’Inferno, il 13esimo, che, come spiegherà  senz’altro in maniera approfondita e precisa, è quello nel quale Dante incontra i suicidi e, in particolare, Pier della Vigna, segretario di Stato di Federico II di Svevia.

Ma perché c’è la necessità  di leggere la Divina Commedia anche oggi, a distanza di oltre 700 anni dalla sua scrittura? La risposta risiede proprio nella grandezza del suo autore : l’opera è infatti immortale. E’ immortale perché ha la capacità di saper dire sempre qualcosa a qualunque persona ed in qualunque periodo storico venga letta.

Questa natura senza tempo della Commedia si evince anche solo dai primi due versi dell’opera «Nel mezzo del cammin di nostra vita,/ mi ritrovai per una selva oscura». Ora mi spiego subito: la chiave di lettura risiede nell’aggettivo possessivo “nostra” e nel pronome personale “mi”. Il primo è plurale e il secondo è singolare: come si spiega questa differenza di numero? Ma soprattutto, come mai Dante ha detto “nostra vita”? Non è solo lui il protagonista?

La risposta viene fuori dal testo stesso: nella Commedia sono presenti due viaggi, l’uno letterale, l’altro allegorico.

 Il viaggio della Commedia quindi è un viaggio letterale, storico e in quanto tale ha un ben determinato protagonista: Dante Alighieri, fiorentino “natione, non moribus”. Un tempo: mai vi è stato poema più attento a determinare la propria cronologia, la settimana Santa dell’anno 1300 e, via via che procediamo nel cammino siamo informati anche sull’ora del giorno o della notte. Ed ha anche uno spazio: l’allestimento delle scene è costruito con precisione minuziosa.

 Per ciò che concerne il viaggio allegorico ascoltiamo cosa ci dice Charles Singleton, studioso e critico letterario statunitense: «Quanto al tempo e allo spazio del viaggio riflesso, è facile avvedersi che non è possibile determinarli con precisione. Al tempo di Dante il suo nome corrente era “itinerarium mentis ad Deum”. Ma se questo è un viaggio “della mente”, di quale mente penseremo si tratti? Solo una risposta è possibile: della mente di “chiunque”. Nell’allegoria il viandante è qualsiasi cristiano: è l’homo viator; ma, a rigor di termini, non è Ogni Uomo (Everyman). E’ piuttosto “Qualsiasi Uomo” (Whicheverman): chiunque, cioè, possa esser scelto per questo viaggio a Dio mentre ancora vive in questo mondo, dove, tutti,volenti o nolenti, siamo viandanti. Sarà questo un andare della mente e del cuore, giacché  solo così possiamo muoverci verso Dio, quando ancora dimoriamo tra i vivi. Che tale viaggio hic et nunc sia una possibilità aperta a tutti, resta il postulato fondamentale e, per Dante, la dottrina su cui egli può costruire l’allegoria della Commedia».

Possiamo allora dire che, per ciò che concerne il viaggio allegorico il suo protagonista è Dante, ma anche qualsiasi uomo scelga di accompagnarsi a lui nell’andare della mente e del cuore verso Dio, e che lo spazio di questo viaggio riflesso è appunto la mente ed il cuore.

 E quale è allora il tempo di questo viaggio? Torniamo ancora una volta a Singleton: «Se il protagonista del viaggio riflesso è “chiunque”, il tempo corrispondente sarà allora “quandunque”. Molti hanno intrapreso questo itinerarium mentis in passato, molti continueranno ad intraprenderlo fino alla fine dei tempi. Dobbiamo ritenere che esso abbia luogo anche ora nel cuore di molti Cristiani. Il tempo del viaggio allegorico è quindi indifferentemente passato, presente, o futuro, perciò è un “quandunque”. Di certo non penseremo che il viaggio letterale abbia avuto luogo più di una volta o che forse si ripeterà: l’ itinerarium mentis,invece,è un evento che, nel corso del tempo continua a ripetersi nel cuore dei cristiani».

Così si spiega questa ambiguita’ di soggetto: siamo sia “noi” che Dante, su due piani completamente differenti, ma siamo tutti e, ripeto, tutti protagonisti della Commedia.

Ma non avevo detto che l’itinerarium mentis ad Deum riguardasse solo i cristiani? Sì, effettivamente sì, poiché bisogna sempre ricordarsi che l’opera è stata scritta in un periodo storico nel quale tutti, o quasi, erano cristiani. Questo potrebbe portare a far decadere questa immortalita’ dell’opera che prima ho così largamente lodato. Ma non è così, la Commedia non è un’opera solo per cristiani.

Per spiegare questo punto del discorso parto da una frase citata dallo stesso Gianni Vacchelli durante la presentazione dell’iniziativa:«Dante ha realmente vissuto Inferno, Purgatorio e Paradiso». Ebbene sì, l’Alighieri ha vissuto realmente tutto ciò nella sua vita, infatti la Commedia è anche un viaggio nella mente di Dante: il poeta fiorentino nei personaggi incontrati vede un po’ di sé.

Quando il poeta sviene e cade “come corpo morto cade” nel canto V dopo aver ascoltato la storia di Paolo e Francesca, è perché ha notato con grande timore e paura che i suoi comportamenti in gioventù sono stati come quelli dei due amanti emiliani, che lui stesso mette all’Inferno assieme ai lussuriosi. Da questo deriva che la Commedia diventa anche un processo di autoanalisi interiore. Era stata un’analisi per Dante, ma può essere chance di riflessione per tutti noi, sempre e comunque.

Ma queste ragioni non sono le uniche per cui vale leggere la Divina Commedia. C’è anche un’altra ragione contenutistica: la potenza delle descrizioni. Varrebbe la pena leggere la Commedia solo per ammirare la maestria con la quale l’Alighieri descrive e distribuisce pene, premi e condanne. Solo guardare e riflettere su quanto siano appropriate le torture alle quali il poeta sottopone i dannati è un motivo più che valido per leggere quest’opera. Ma un fatto che è incredibile è questo: Dante, nonostante debba tradurre in carta scene macabre, riesce a descriverle con una precisione impressionante, con una tale maestria da far venire la pelle d’oca, senza però cadere nel “finto” o nell’osceno.  Basti pensare alla descrizione di Lucifero, presente nel 34esimo canto dell’Inferno, la cui plasticità rimane impressa in maniera indelebile  nella mente di qualunque lettore:

« Con sei occhi piangea, e per tre menti/ gocciava’l pianto e sanguinosa bava./ Da ogne bocca dirompea co’ denti/ un peccatore, a guisa di maciulla,/ si che tre ne facea così dolenti ».

E se “poesia” vuol dire “creazione”, dal verbo “poieo” che in greco significa appunto “ creare”, Dante si rivela grandissimo “poeta” proprio nella sua capacità di “dare corpo” ai pensieri.

Vi è infine una ragione stilistica per cui ancora oggi la lettura di quest’opera è un’esperienza irrinunciabile: la Commedia è strutturata e scritta perfettamente. Basti pensare alla perfezione del ritmo, stupendamente scandito dalle terzine di endecasillabi a rima incatenata: tutto questo per un totale di 4720 versi. Di elementi stilistici ne potrei citare tantissimi: il suo plurilinguismo, la tecnica dello scorcio e dell’ellissi, tutte le figure retoriche, i vari tipi di focalizzazione e di stili. Insomma, soltanto per analizzare in modo esauriente da questo punto di vista la Divina Commedia ci vorrebbero anni.

Ma ci sono molte e molte altre motivazioni che non posso stare qua ad analizzare.

Insomma; per qualsiasi motivo vogliate farlo, che sia o no tra quelli da me citati, esorto tutti a leggere o, come in questo caso, ad ascoltare la Divina Commedia in maniera attiva.

Si deve farlo in maniera attiva perché quest’opera ci parla e noi abbiamo il dovere di risponderle. Fin dai tempi contemporanei di Dante, con Boccaccio, che tra l’altro è colui che ha definito la Commedia come “divina”, l’opera è stata letta e discussa in pubblico e questo deve essere portato avanti.

La Commedia è nata come un testo per tutti e deve continuare ad esserlo.


 

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Pubblicato il 09 Giugno 2017
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