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Parla male dell’azienda in cui lavora su Facebook: licenziata

La Cassazione ha ribadito che denigrare l'azienda in cui si lavora con commenti diffamatori su Facebook può dare il via al licenziamento per giusta causa

«Mi sono rotta i (…) di questo posto di (…) e per la proprietà». Uno "sfogo" che è costato caro alla lavoratrice. La donna, infatti, ha pagato con la perdita del posto di lavoro la decisione di affidare le sue parole ai social, pubblicandole sulla propria bacheca Facebook. E a legittimare la decisione della società datrice di lavoro sono intervenuti ben tre gradi di giudizio.

La dipendente ha sostenuto l'illegittimità del licenziamento prima davanti al Tribunale di Forlì e poi davanti alla Corte d'Appello di Bologna, ottenendo una doppia bocciatura della sua tesi. E non ha avuto miglior fortuna davanti alla sezione lavoro di Piazza Cavour, alla quale la lavoratrice si è rivolta per un "verdetto" definitivo.

Gli Ermellini, infatti, hanno prima sottolineato l'«irrilevanza della specificazione del nominativo del rappresentante della stessa (ovvero l'azienda datrice di lavoro, ndr), essendo facilmente identificabile il destinatario». E poi hanno chiarito che «la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca Facebook integra un'ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, posto che il rapporto interpersonale, proprio per il mezzo utilizzato, assume un profilo allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione».

«Ciò comporta – ha concluso la Suprema Corte – che la condotta di postare un commento su facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, con la conseguenza che, se, come nella specie, lo stesso è offensivo nei riguardi di persone facilmente individuabili, la relativa condotta integra gli estremi della diffamazione e come tale correttamente il contegno è stato valutato in termini di giusta causa del recesso, in quanto idoneo a recidere il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo». 

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 03 Maggio 2018
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