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“Aria tesa” in casa, aspetta i carabinieri al bar per tornare in carcere

La Cassazione ha ribadito che la convivenza difficile con i familiari non esclude l'evasione, nemmeno se l'allontanamento è preannunciato da una chiamata in caserma

La convivenza con i familiari era ormai diventata insostenibile. Così un 44enne di Marcianise ha deciso di lasciare gli arresti domiciliari e chiamare in caserma per avvertire i carabinieri che li avrebbe aspettati in un bar nelle vicinanze per tornare in carcere.

Evasione? No. Anzi, sì. L'ha deciso la sesta sezione penale del Palazzaccio, mettendo un punto al ping pong di verdetti tra il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e la Corte d'Appello di Napoli. In primo grado, infatti, il 44enne era stato condannato proprio per evasione, ma la decisione era stata ribaltata dalla Corte partenopea, che aveva ritenuto di poter escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato visto il comportamento dell'uomo. 

I giudici di Piazza Cavour, chiamati in causa dalla Procura della Repubblica di Napoli, hanno chiarito che «nel reato di evasione dagli arresti domiciliari, il dolo è generico e consiste nella consapevole violazione del divieto di lasciare il luogo di esecuzione della misura senza la prescritta autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell'agente». Gli Ermellini, in soldoni, hanno ribadito ancora una volta che non esiste equazione tra evasione e «volontà specifica di darsi alla macchia e/o di approfittare dello status di libero per delinquere».

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 05 Aprile 2018
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