Nove anni. Nove anni tra inchiesta e processi: tanto ci è voluto per arrivare all'assoluzione di un 49enne accusato di aver tentato di rubare una melanzana in un campo. Nove anni che hanno portato il processo fino alla quinta sezione penale del Palazzaccio, che ha finalmente scritto la parola fine sulla vicenda giudiziaria.

Un primo passaggio nelle aule del Tribunale di Lecce, poi un secondo giro davanti alla Corte d'Appello, ha riqualificato il "casus belli" da furto a tentato furto. E infine l'ultimo verdetto nelle aule di Piazza Cavour, che ha escluso la punibilità per la particolare tenuità del fatto. Per gli Ermellini, infatti, le «caratteristiche della refurtiva» non sono sufficienti a far emergere lo stato di necessità, ma è «innegabile che il delitto tentato de quo presenti una modestissima offensività».

In soldoni, la Suprema Corte ha "bacchettato" la Corte leccese, incorsa in un'«evidente svista» per aver escluso la particolare tenuità a causa di quello che potremmo definire un errore di calcolo: a fondamento della propria decisione, infatti, i giudici di secondo grado hanno posto il limite edittale di sei anni di reclusione previsto per il furto, senza tener conto che, con la riqualificazione in tentato furto, il massimo della pena sarebbe sceso da sei a quattro anni di reclusione. Anche perchè la condotta del 49enne, come hanno precisato dalla Cassazione, deve essere considerata occasionale, con la conseguenza che nemmeno il bilanciamento tra circostanze attenuanti ed aggravanti può essere considerato un ostacolo per la particolare tenuità.