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A casa in malattia, ma suona alla festa patronale: licenziato

La Cassazione ha ribadito che il lavoratore in malattia deve adottare ogni cautela necessaria per la guarigione, con conseguente recupero dell'idoneità al lavoro

Assente dal lavoro per malattia, ma suona con la sua band alla festa patronale: l'azienda lo licenzia e il caso finisce davanti alla Corte di Cassazione.

Mentre il dipendente si stava rimettendo da una lombosciatalgia, infatti, si era esibito con il suo gruppo musicale suonando la fisarmonica in un concerto organizzato per la festa patronale: scelta che all'azienda, inutile dirlo, non era piaciuta. Tanto che aveva deciso di licenziare l'uomo: il viaggio in macchina su una strada tortuosa, l'attesa sul luogo del concerto con una temperatura non confacente alla malattia e l'esibizione di due ore (trascorse in piedi e sostenendo il peso della fisarmonica) avevano infatti rischiato di compromettere la guarigione.

Davanti al Tribunale di Genova società e dipendente avevano chiesto rispettivamente la conferma della legittimità del licenziamento e la reintegrazione nel posto di lavoro, e i giudici della Lanterna avevano dato ragione all'azienda. La palla era quindi passata nelle mani della Corte d'Appello, che aveva annullato il licenziamento. Così la società ha deciso di rivolgersi alla sezione lavoro del Palazzaccio.

I giudici di Piazza Cavour hanno ribadito che «l'espletamento di attività extralavorativa durante il periodo di assenza per malattia costituisce illecito disciplinare non solo se da tale comportamento deriva un'effettiva impossibilità temporanea della ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa è solo messa in pericolo dalla condotta imprudente, con una valutazione di idoneità che deve essere svolta necessariamente ex ante, rapportata al momento in cui il comportamento viene realizzato». 

Gli Ermellini, quindi, hanno confermato la ricostruzione della Corte d'Appello genovese per cui il lavoratore assente per malattia non deve necessariamente astenersi da ogni altra attività, ma hanno anche ribadito che quest'ultima non solo deve essere compatibile con lo stato di malattia, ma deve anche rispettare l'obbligo di correttezza e buona fede che impone al lavoratore di adottare ogni cautela idonea perché cessi lo stato di malattia, con conseguente recupero dell'idoneità al lavoro.

Tutto da rifare, quindi, per la Corte d'Appello, che non ha tenuto adeguatamente conto della circostanza che il medico che aveva rilevato la lombosciatalgia aveva prescritto, essenzialmente, il riposo. 

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 21 Marzo 2018
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