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Don Fabio Viscardi ricorda don Milani e la Resistenza

" Il mi piace o non mi piace deve lasciare il posto a: me la caccio, mi predo cura, mi faccio responsabile, pago di persona"...

DON MILANI E LA RESISTENZA

Credo che molti abbiano ascoltato domenica le parole di papa Francesco che in un videomessaggio in occasione della fiera del libro a Milano ha per così dire ‘riabilitato’ la figura di don Lorenzo Milani di cui il 26 giugno ricorre il 50° della scomparsa. Papa Francesco andrà a pregare sulla sua tomba nel piccolo cimiero di Barbiana in occasione del viaggio a Firenze martedì 20 del prossimo mese di giugno.
Col suo linguaggio molto schietto il papa ha detto che: 
don Milani non era un ribelle, ma un inquieto per amore dei suoi ragazzi.

Quel che forse pochi sanno è che in località Padulivo, a poco più di un Km dalla canonica di Barbiana, lungo la strettissima strada (allora un viottolo tra i boschi) che conduce alla piccola frazione vi è un cippo che ricorda l’eccidio di 15 civili ad opera dei soldati tedeschi il 10 luglio 1944. Una storia purtroppo simile a molte altre, una rappresaglia a seguito dell’uccisione di un loro soldato. Siamo nel comune di Vicchio, nella valle del Mugello, zona segnata dalla presenza di una forte Resistenza all’invasore.
Il cippo è stato posto nel 1994 in occasione del 50° anniversario dell’eccidio, ma ritengo impossibile che un uomo attento come don Milani non sia stato informato della vicenda, non ne abbia fatto oggetto di riflessione coi suoi ragazzi a scuola.

Tutti conoscono e magari hanno letto “Lettera a una professoressa”, ma credo sia importante oggi riprendere alcuni temi contenuti in un altro suo importante scritto titolato “L’obbedienza non è più una virtù”, una sorta di autodifesa quando era ormai costretto a letto da quella forma tumorale che lo condurrà di lì a poco alla morte.
Il contesto è quello dell’obiezione di coscienza al servizio militare; oggi un fatto scontato, allora fonte di infinite polemiche. Non possiamo qui riprendere l’intera vicenda. Ci limitiamo a ricordare che una delle accuse con cui 6 ex combattenti avevano presentato l’esposto nei suoi confronti al Procuratore della Repubblica di Firenze era quella di:
“aver fatto tabula rasa di un secolo di storia italiana, salvando soltanto gli anni della Resistenza”.

Il riferimento era all’analisi storica condotta da don Lorenzo e dai suoi studenti su 100 anni di guerre nazionali valutate alla luce dell’art. 11 della Costituzione dove si legge:
“L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Sono convinto che l’aver salvato solo la guerra di resistenza come conflitto in qualche modo conforme al dettato e allo spirito della Costituzione sia un chiaro segno della profonda attenzione con cui il priore di Barbiana ha guardato a quel controverso biennio e che da queste vicende abbia attinto diverse riflessioni poi appunto confluite in “L’obbedienza non è più una virtù”. Un titolo lapidario, in linea col carattere non facile del grande educatore e che forse conviene riprendere proprio in chiave pedagogica domandandoci cosa vuol dire trasmettere alle nuove generazioni il concetto che non necessariamente l’obbedienza (cieca) è una virtù.

Cito dal testo:
“bisogna avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è orami più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni; che non credano di potersene fare scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”
Mi limito a queste tre osservazioni.

La legalità come valore. Nel testo don Milani chiarisce a chiare lettere quanto gli stava a cuore imprimere nei suoi ragazzi il senso della legge e il rispetto per il tribunale degli uomini. 
Nella ricorrenza del 25 aprile noi ricordiamo e celebriamo persone che mancavano certo del senso della legge, della civitas e dello stato. Anzi, proprio in nome di tutto questo hanno potuto e saputo disubbidire. Occorre dire ai nostri giovani che non ti è lecito fare quel che vuoi. Potrai disubbidire dopo e solo dopo aver imparato a ubbidire, solo dopo aver acquisito una forte coscienza della societas e dello stato.

Il concetto di bene e il male. Don Milani mette in guardia contro lo smarrimento dell’uomo moderno che ha perso la percezione del bene e del male. È il tema antico e sempre nuovo della coscienza. Solo una coscienza formata a comprendere ciò che è bene e ciò che è male può disattendere la legge, pagando di persona. La disobbedienza non è fare ciò che pare e piace, non è inseguire ciò che è comodo. Converrà dirlo alle nuove generazioni, converrà trovare strumenti nuovi per lasciar in eredità le verità di sempre circa il bene e il male

Il principio della responsabilità in solido. Davanti a Dio e davanti agli uomini sei responsabile di tutto ciò che succede. Non solo in guerra, ma anche in banca, al supermercato, al lavoro e a scuola puoi essere complice di situazioni intollerabili. Altrimenti la disobbedienza è di comodo e il senso della giustizia è a macchia di leopardo.

Per concludere con un’espressione un poco ad effetto, forse dobbiamo educare figli e nipoti a pigiare non tanto il tasto “I like”, quanto il tasto “I care”, verbo ‘architrave’ della scuola di Barbiana. Il mi piace o non mi piace deve lasciare il posto a: me la caccio, mi predo cura, mi faccio responsabile, pago di persona. Come è stato per i tanti che oggi onoriamo e ricordiamo in questa giornata del 25 aprile. 
Sui quali anche oggi scenda la nostra benedizione.

Don Fabio

Marco Tajè
direttore@legnanonews.com
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Pubblicato il 25 Aprile 2017
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