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Morto dopo l’impianto di un pacemaker: l’Ospedale non ha colpe

La ricostruzione del Tribunale, però, non convince i familiari, che si sono rivolti ad un legale legnanese per fare appello...

Era malato di cuore, e i medici gli avevano consigliato l’impianto di un pacemaker. Aveva firmato un consenso informato – e chissà se aveva capito davvero tutto quel che c’era scritto, in fondo il linguaggio era inevitabilmente molto tecnico – che gli garantiva che l’ospedale dove sarebbe stato operato era un centro di eccellenza in questo tipo di intervento, sia per l’impianto stesso sia nella gestione di eventuali complicanze.

Ma durante l’intervento qualcosa non va per il verso giusto: già la sera dell’intervento l’uomo accusa un forte dolore all’emitorace sinistro ed alla spalla sinistra. Il giorno dopo il dolore non passa, anzi, peggiora, e compare un vistoso ematoma ad ascella, spalla ed emitorace. Il giorno dopo ancora, il dolore è a tutto l’emitorace sinistro, e l’ematoma coinvolge ormai tutto l’arto superiore fino al polso. Nel frattempo, il paziente diventa anche gravemente anemico.

A questo punto, l’uomo viene sottoposto ad una TAC, e si scopre che si è verificata proprio una di quelle complicanze indicate nel consenso informato: il paziente ha un imponente emotorace sinistro. Tutto diventa urgente, ma nè l’intervento dei medici del reparto dove l’uomo è ricoverato, nè il successivo intervento nell’Ospedale dove viene trasferito possono più nulla: l’uomo muore.

Questa è la storia di Paolino Cannizzaro, 76enne operato all’Ospedale di Tradate nel 2011 e deceduto all’Ospedale di Varese a poco più di un mese di distanza dall’intervento, così come la raccontano i familiari che sono convinti che ci sia stata negligenza da parte dei sanitari che hanno assistito il loro congiunto.

Da lì il “J’accuse” dei familiari, forti della loro convinzione: si tratta di un caso di malasanità.  

La ricostruzione del giudice, però, scrive un esito diverso: nessuna negligenza da parte del personale sanitario. Secondo il magistrato, infatti, «la condotta clinica è stata adeguata», «la programmazione e l’attuazione delle procedure si è svolta secondo gli indirizzi di una buona pratica clinica, che peraltro comporta sempre dei concreti rischi comunque ben segnalati nel modulo di consenso informato» ed «anche la decisione di trasferire il paziente in una struttura cardiologica con disponibilità cardiochirurgica è stata adeguata». Nessuna responsabilità, quindi, per i medici, e familiari condannati al pagamento delle spese di causa per un importo di circa 15mila euro.

Moglie e figli del signor Paolino, però, non ci stanno, e sono determinati ad andare fino in fondo alla vicenda. Per questo hanno deciso di cambiare legale, rivolgendosi all’avvocato legnanese Emanuele Valli, ed ora bisognerà vedere cosa succederà durante il giudizio d’appello.

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 07 Marzo 2017
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