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Reddito di cittadinanza, a Rescaldina partiranno i PUC ma è bagarre sui tempi

Il paese avvierà i progetti utili alla collettività previsti dalla normativa sul reddito di cittadinaza - Polemica tra maggioranza e M5S sui tempi 

Sono 95 a Rescaldina i nuclei familiari con almeno un componente che percepisce il reddito o la pensione di cittadinanza. E proprio loro sono stati al centro di uno scontro tra il Movimento 5 Stelle e Vivere Rescaldina nell'ultima seduta del Parlamentino rescaldinese.

Oggetto del contendere i PUC, ovvero i progetti utili alla collettività ai quali i beneficiari del reddito di cittadinanza sono chiamati a rendersi disponibili nell'ambito del patto per il lavoro e del patto per l'inclusione sociale. Proprio i PUC, infatti, sono stati al centro di una mozione presentata dal pentastellato Massimo Oggioni, finalizzata ad impegnare sindaco e giunta «a predisporre entro 90 giorni i progetti utili alla collettività, ovvero i progetti a titolarità dei comuni utili alla collettività in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni cui il beneficiario del reddito di cittadinanza è tenuto ad offrire la propria disponibilità».

«La sottoscrizione dei PUC per i percettori del reddito di cittadinanza – ha sottolineato Oggioni – è un atto importante nel percorso di costruzione di un moderno sistema di welfare statale che rinsalda il patto tra Stato e cittadino oltre che di inclusione e reinserimento nella vita sociale attiva del comune stesso». 

[pubblicita]I progetti utili alla collettività, però, per il vicesindaco Enrico Rudoni presentano più di un problema: «I soggetti non possono essere impiegati in sostituzione del personale dell'ente pubblico o del soggetto gestore in caso di esternalizzazione e questo significa che possono esclusivamente svolgere funzioni di implementamento e miglioramento di un servizio già in essere. Esistono poi due piattaforme che gestiscono i richiedenti, quella usata dai centri per l'impiego, che stipulano il patto per il lavoro a cui accedono persone in disoccupazione da non più di due anni o beneficiari di NASPI, e quella usata dai servizi sociali dei comuni per progettare il patto per l'inclusione sociale: le due piattaforme ad oggi non riescono però a comunicare». Non solo: anche ipotizzando che ci sia un solo percettore maggiorenne in ogni nucleo familiare, il Comune dovrebbe «individuare almeno una trentina di postazioni in cui implementare il servizio o attivare un servizio che non è già in essere», con tutti gli oneri che ne conseguono.

Senza contare le "perplessità" di carattere politico rispetto alla misura: «Il provvedimento appiattisce il discorso al solo concetto di lavoro – ha sottolineato Rudoni –, non comprendendo affatto lo spirito che sta alla base di un vero e proprio basic income, ossia un reddito versato da una comunità politica a tutti i suoi membri su base individuale senza controllo delle risorse e senza esigenza di contropartita». Il vicesindaco ha puntato il dito anche contro il «carattere fortemente discriminatorio che prevede come requisito per percepire il reddito di cittadinanza la residenza sul territorio italiano da 10 anni, di cui almeno due in maniera consecutiva».

La linea politica della maggioranza, comunque, non ha scalfito più di tanto Oggioni: «Sono più concentrato sugli effetti che una determinata norma provoca rispetto alle considerazioni di mera natura ideologica, che rispetto ma in gran parte non condivido. Il ripagare è un carattere fondativo: proprio per eliminare un aspetto che potrebbe essere inteso come assistenzialismo, si cerca di coinvolgere il percettore. Per quanto riguarda le considerazioni di natura economica, se i desideri sono infiniti le risorse non lo sono e in qualche maniera la cooperta in una direzione o nell'altra bisogna tirarla. Pur con tutti i limiti che l'amministrazione ha sottolineato, di fatto qualcuno che un problema lo aveva ha trovato un aiuto per uscire dalle difficoltà».

Il vero ostacolo è stata la proposta di Vivere Rescaldina di approvare la mozione eliminando il vincolo temporale di 90 giorni: «Nella precedente consiliatura l'allora capogruppo, oggi sindaco, ha più volte proposto rispetto a mozioni del Movimento 5 Stelle di eliminare il fattore temporale per portarle ad un valore più indefinito e normalmente abbiamo accettato. Puntualmente, però, ne è seguita una non applicazione. Senza deadline questo consiglio comunale mi ha insegnato che gli impegni non vengono rispettati: se accetto una proposta del genere sono certo che affosso la mozione». 

Anche Maria Angela Franchi, capogruppo del Centrodestra Unito, ha sostenuto la mozione, ribadendo la necessità di un termine temporale: «Lascerei il termine di 90 giorni – ha proposto Franchi –, magari non per la predisposizione dei progetti, ma per un aggiornamento sullo stato delle cose».

Ed è in questa formula che alla fine la mozione è stata accolta, con la giunta che darà conto al consiglio comunale sullo stato di attuazione entro il termine previsto e si è impegnata ad attuare i PUC «entro il tempo tecnicamente più breve possibile». La bagarre sulla questione dei vincoli temporali nelle mozioni, però, sembra destinata a tornare presto a far parlare di sè.

Leda Mocchetti
leda.mocchetti@legnanonews.com
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Pubblicato il 04 Febbraio 2020
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