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Palio di Legnano

“Sfogliando la Storia”, di P. Galimberti

Esisteva la figura di un Vescovo sul Carroccio il giorno della battaglia? La risposta in una documentata analisi dello studioso e storico capitano di contrada...

Tornano, con questo servizio, alcune riflessioni di Pier Galimberti, uomo di Palio ma non solo, che ringraziamo sempre per la cortese collaborazione (a destra, un suo noto autoritratto). Oggi, lo storico capitano di San Bernardino e già vice gran maestro del Collegio affronta un argomento "delicato", circa la presenza o meno di un Vescovo sul Carroccio il giorno della battaglia e quindi anche la validità storica della presenza di alti prelati nella nostra sfilata.


                “SFOGLIANDO LA STORIA“ DI P.GALIMBERTI

Sopra a sinistra una pregevole pala pittorica ci presenta la celeberrima figura del Vescovo d'Ippona: S.Agostino. E' un'opera realizzata nientemeno che dal geniale Simone Martini (Siena 1284/ Avignone 1344) e con ricercata dovizia descrive nei dettagli gli attributi che distinguono un Vescovo e rigorosamente prescritti per le cerimonie liturgiche solenni.

La qualità pittorica è alta, esprime un'aura sublime, l'insieme è assai gradevole, minuzioso e contiene già le “novità” di un'alba di un'era nuova: il XIV secolo. Quello di destra è invece un'opera scultorea della prima metà del XII secolo, che un autore, seppur di più modesta statura artistica, ma con rigorosa e naturale fedeltà iconografica, descrive bene “ciò che l'occhio vede”, e fotografa per noi ogni dettaglio compositivo e forse con spirito devozionale e riminiscenze di tradizioni tardo/antiche riesce a rendere chiaro ed evidente quanto sia ampio lo spazio temporale ed espressivo che lo divide dall'opera del sommo senese.

E' una scultura in calcare tratta dalla facciata della Chiesa di S.Giovanni in Borgo a Pavia, è conservata nel Civico Museo Castel Visconteo in città. Ha tracce policrome di pittura e iridi in piombo, raffigura un Santo Vescovo e “presenta” un insieme descrittivo, perfetto ed esaustivo.

Ai piedi calza pantofole ornate con piccoli croci, appoggiate ad un suppedaneo con semplici decori vegetali, la veste è molto ampia e scampanata di stile bizantino in uso sia dal V/VI secolo è sempre stretta da un cingolo in vita. Indossa sopra a questa, una tunica manicata (colobion) in tessuto bizantino con orlature decorate in perline. Da questa in basso sporgono le frange della lunga stola diaconale derivata dall'uso antico dei diaconi (servitori a tavola) per pulire la “mensa del sacrificio” nella S.Messa simbolica eredità biblica del panno usato da Gesù nella “lavanda dei piedi”.

La lunga striscia della stola appoggiata alle spalle, intorno al collo cade davanti sino ai piedi.

Sopra la tunica indossa un'ampia casula ( da piccola casa) o pianeta che l'avvolge e copre tutto il corpo, di antichissima tradizione romana (paenula) simboleggia la volta celeste ed il corpo del sacerdote, uscendo dall'apertura superiore, è volto al cielo, all'aldilà divino (l'uso della casula nella liturgia è stato recentemente ripristinato da Papa Francesco).

Il capo è cinto da una bassa mitria divisa in due cuspidi che simboleggiano l'antico e il nuovo testamento, il pastorale ricorda il bastone del “pastore di anime”.

Allargato sulle spalle e lungo davanti e dietro indossa il Pallio striscia in candida lana (biblico ricordo dell'agnello ritrovato) decorato con piccole croci e fissato sulla casula con tre piccole spille.

Con i guanti e l'anello questo è il parato “in terzo”, mentre “in quarto” prescrive ben due tonache.

E' una figura ecclesiastica presente nella diocesi milanese del XII sec.: il contesto storico descrive una chiesa robusta, che occupa un territorio vasto che comprende: la Lombardia, con il Canton Ticino, la Liguria, il Piemonte, vasti possedimenti terrieri vantano cospiqui diritti fiscali, possiede una grande forza spirituale , politica e militare, riconosciuta e temuta in tutta Europa.

Una sede vescovile sussiste legata alla Cattedrale che ospita l'indispensabile cattedra da cui prende il nome e su cui siede l'augusto prelato, ma la storia nei giorni della battaglia descrive una situazione alquanto anomala, con la sede episcopale milanese singolarmente vacante e nessuna figura occupa da tempo la cattedra di Ambrogio.

La storia infatti conferma che in Duomo il 18 di aprile 1176, muore predicando l'ottantaduenne S.Galdino dalla Sala, cardinale molto vicino a Papa Alessandro III (1099-1181), e dopo lunghe e ardue vicissitudini di scelta solo il 2 luglio 1176 viene nominato il successore: l'arcivescovo Algisio da Pirovano, quindi per ben 75 giorni nessun prelato occupa la sede episcopale ne tanto meno può apparire sul Carroccio nel celebre giorno.

Tempo prima, nel 1167, S.Galdino appena nominato legato pontificio (unica carica in Italia), depone ogni sacerdote nominato dall'antipapa “imperiale” e consacra i nuovi vescovi di: Lodi, Cremona, Vercelli, Asti, Torino, Novara e Alessandria.

Ora se vogliamo essere coerenti e fedeli alla storia, risulta assai difficile stabilire chi siano quelle figure ecclesiastiche che la “nobile” Contrada inserisce in sfilata ed in pompa magna e pregevolmente addobbati, presenta alla città come Vescovi, privi peraltro di quell'innumerevole presenza di suddiaconi, diaconi, chierici e laici fedeli al rigido cerimoniale che la curia ambrosiana prescrive!!

Potendo tornare dal loro futuro, queste figure potrebbero rappresentare esclusivamente il Vescovo metropolita Algisio seguito dai Vescovi suoi suffraganei consacrati da S.Galdino.

A prescindere dagli evidenti anacronismi, trovo questo folto gruppo scenograficamente ingenuo e pretenzioso che risponde ad un progetto esagerato e puerile, che tende solo a stupire, riuscendo così a contrastare i temi più contenuti e storicamente coerenti che emergono in più punti della sfilata, stabiliti in passato con maggior rigore progettuale e fedeltà storico/descrittiva.

Ma oggi tutto questo quadro è legittimato dal silenzio/assenso direttivo della dotta esperta preposta che permette di presentare in sfilata la “passeggiata” di un Vescovo con un gruppo di prelati, che indossa un piviale del XIV secolo con applicate preziose strisce ricamate del XII sec. (a Busto A. ne esiste uno simile nella chiesa di S.Maria in Piazza a cui mancano però quegli strani palloncini sparsi sul tessuto e non ha alcuno stemma di contrada sullo scollo) e viene presentato come prelato autoctono, domiciliato in città in un palazzotto nobiliare che addirittura…non esiste ancora (trattasi del palazzo vescovile eretto in città, forse nel 1241 dal frate Leone da Perego, consacrato vescovo in quell'anno e morto nel 1257 a Legnano).

E' un quadro tematico che ritengo si possa migliorare ( e mi sfugge come non sia mai stato fatto prima) inserendovi un cospicuo numero di aristocratici e laici legati alla curia milanese che su un'adeguata portantina munita di sedia gestatoria, affiancata da due flabelli, possano innalzare in sfilata la candida figura del Sommo Pontefice.

Spero che almeno l'umorismo giovi a riflettere, come da tempo non venga nemmeno sfiorato, l'unico argomento attendibile, variegato e ricco di elitarie sfaccettature, che dal punto di vista storico riguarda il vestire e che risulta pressocchè uguale sia in Oriente che in vaste aree Occidentali. Questo comprende le semplici tele monocolore, spesso aniconiche, arricchite a volte solo da lievi segni ornamentali: i clavi e orbicoli tessili , sino ai più preziosi e ricercati tessuti serico/aurei che identificano l'elitaria classe sociale: funzionari imperiali, aristocratici, eminenti prelati, ambasciatori, ricchi mercanti.

Sono tessuti costosissimi, simili a satin, a volte pesanti con trame a sei/sette colori per disegni complessi fino a dieci colori, con inserti persino in filati d'oro: gli orpelli, sottili strisce di budello animale oppure doppi filati di seta su cui venivano attorcigliate sottili striscioline in lamina d'oro o argento. Erano destinati a manti, tuniche, vesti, arazzi, velari, tende, tovaglie liturgiche.

Sono testimonianze d'incredibile difficoltà esecutiva, eccellenze di un passato che illumina e che ancora emoziona E' questa l'unica certezza attendibile come fonte ispiratrice disponibile, conosciuta e svelata a tutti gli “addetti ai lavori del vestire” che invece viene banalmente sostituita da: capitelli, lastre tombali, racemi, volute vegetali e figure zoomorfe. Molto spesso sono reperti di archeologia tessile di origine funeraria. Manufatti e testimonianze presenti nelle più importanti raccolte tessili museali del mondo, disponibili su una diffusa documentazione editoriale, consolidata ed arricchita da un vasto repertorio di studi e convegni approfonditi da preziose illustrazioni di antichi incunaboli, salteri e codici miniati, ben storicizzati nell'arte pittorica, musiva, letteraria, nell'orificeria, nei tessuti, nelle arti minori, per i secoli X/XIII che persino un semplice zappatore in questo arduo terreno culturale, anch'io conosco un po'!

“E' un lessico artistico (dice Arturo Carlo Quintavalle nel presentare una mostra del XIV secolo) che attingerà dalla grandiosa epitome della civiltà di Bisanzio, dalla Siria all'Egitto, alla Spagna, alle zona d'Italia legate all'impero d'Oriente, sino alla viva omologazione ottoniana veri topos vividi e rigogliosi.”

Sono temi basilari ed esaustivi su cui inspiegabilmente aleggia oggi una sorta di cinismo intellettuale e con ingrate considerazioni degli stilemi di un passato progettuale, emette giudizi che bisogna dire spesso sono poco consapevoli conoscitori della complessità simbolica connaturata a questa cultura e come su questi controversi temi la dotta esperta preposta nella Commissione Costumi avocandosi l'esclusività saccente del sapere, può liberamente dichiarare (in un team di silenti partners) come solo negli ultimi anni si conosca un medioevo plausibile impiegando finalmente soluzioni reinventate e conclude pontificando: la forma ed il senso dei costumi “storici” (n.d.r. quelli fatti in passato) cambia con il tempo alla ricerca di nuovi significati ( vedi Carroccio n°48/2011). Sono nati così nuovi canoni stilistici e sartoriali che hanno permesso anni fa il rifacimento (ahimè sgradito) del gonfalone di S.Erasmo, che ha stravolto completamente il precedente, che con altri gonfaloni presenti in Collegio progettai quarant'anni fa! (Chapeau all'autore).Queste innovative conoscenze permettono di ammirare in sfilata una spada di chiara foggia vichinga. Basterebbe visitare il Poldi Pezzoli o il Museo Archeologico per capire quanto fossero famose allora le armi prodotte nei laboratori milanesi e come invece queste scelte storicamente stonate stridano così come discutibili dettami o quale documentazione confermi che nel XII secolo Milano ospitasse Crociati, Cavalieri del Sacro Sepolcro e confraternite Ospitaliere armate, qui giunte in aiuto da lontani territori. Non ci si rende conto di quanto queste nuove forme espressive siano dannose e tese (spero inconsciamente) a banalizzare, cancellando gradualmente la credibilità di passati stilemi permettendo che bizzarri virtuosismi stilistici e nuove puntigliose volontà progettuali possano realizzare tuniche manicate, per un figurante della nobiltà, letteralmente coperte da ricami policromi ( anziché sclusivi tessuti serici) con fitti racemi, figure, volute vegetali, motivi zoomorfi e geometrici ottenendo un affollato fumettone invidiato dagli addetti ai lavori e “partners silenti” per l'indubbio impatto visivo, l'originalità iconografica, ma più di tutto è l'alto costo esecutivo che una vasta platea ammira ed acclama entusiasta come ambito capolavoro.

Il nostro evento inventato nel secolo scorso come “Trionfo per la Vittoria sul Barbarossa” permise da allora ai Legnanesi di rievocare ogni anno a maggio, un fatto storico ed oggi purtroppo la diffusa realtà di nuove forme espressive è tesa solo ad esaudire una grande massa di pubblico festoso unico assoluto giudice, che legittima ed entusiasta convalida “democraticamente” questi nuovi topos dettati da capitelli, spalle di portali, paliotti d'altare, lastre tombali e persino…google!

Che dire? E' un realtà culturale che deve far riflettere e forse tutto è imputabile alla mancata volontà in passato, di vincolare i temi espressivi e scenografici dell'insieme storico agli otto singoli progetti di sfilata controllati nella loro evoluzione e depositati nella neonata Commissione Costumi.

Da un quarto di secolo malcelate rivalità svelano il cinismo culturale di “profeti”
chiusi ad ogni confronto intellettuale per dibattere sulle anime compositive del 
nostro evento: tecniche, scenografiche, storico/didattiche e di regia generale.
Su questi temi prevale una diffusa pigrizia mentale e l'attenzione è volta quasi
esclusivamente all'agonismo della corsa equestre ed ai fantini!
E indispensabile provocare un nudding* operativo per uscire da questo pantano
culturale che da troppo tempo frena la qualità dell'insieme espressivo dell'evento,
privo persino di rigorosa attendibilità storica. Purtroppo in città sono troppo
pochi e consapevoli coloro che ne colgono la gravità!

(* Nudge, ovvero: spinta gentile, pungolo, gomitatina)

P.Galimberti “ sfogliando la storia” ottobre 2014

Redazione
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Pubblicato il 26 Novembre 2014
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