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Olgiate Olona: testimonianze del disastro aereo del 1959

Il tragico evento nei racconti di Gualtiero Conti e Silvana Scanagatta...

Disastro aereo del 26 giugno 1959 Testimonianze di Gualtiero Conti e Silvana Scanagatta
Pubblichiamo le testimonianze di Gualtiero Conti (1932-2015) giornalista legnanese de Il popolo di Milano che il 26 giugno 1959 accorse sul luogo della sciagura e di Silvana Scanagatta, sua moglie, che dal giardino di casa vide precipitare i pezzi del velivolo della TWA in fiamme. Le testimonianze sono state gentilmente consegnate agli organizzatori delle commemorazioni e pubblicate sul sito ufficiale (clicca qui) dalla Signora Scanagatta che ha anche partecipato alla cerimonia del 26 giugno 2016.


Gualtiero Conti (1932-2015), giornalista professionista legnanese doc, medaglia d’oro per i cinquant’anni di carriera giornalistica nel 2015, decano dei giornalisti legnanesi, ha ricordato: «Lasciai il taxi sulla provinciale, alle porte di Marnate in provincia di Varese, erano da poco passate le ore 18:30. Pioveva a dirotto, il cielo era nero e mi avventurai nella vallaccia, tra boschi di acacie, cariche d’acqua. Giunto sul terreno pianeggiante, vidi le luci di quattro fotoelettriche puntare sui resti dell’aeroplano grigio-perla scintillante. Il timone di coda era staccato da gran parte della fusoliera. Procedendo tra il fango della pianura, incespicai nel corpo di una giovane donna e, qualche metro più in là, nel corpo di un uomo. Erano stati sbalzati dall’aereo, un TWA di fabbricazione americana, alzatosi in volo da Malpensa, con destinazione americana; forse erano marito e moglie. Procedetti nella radura e mi avvicinai alle luci che illuminavano la carcassa del velivolo. Pensai che l’aereo fosse stato colpito dal fulmine proprio sulla coda e più tardi ne ebbi conferma da due funzionari di Malpensa giunti sul luogo del disastro. Intanto un popolo di curiosi si era radunato intorno ai resti e polizia e carabinieri faticavano a tenerli lontani. Aveva smesso di piovere e udii la voce disperata di una donna che avvicinatasi urlava piangendo: “Rosa, Rosa, la mia bambina, era tornata in Italia per festeggiare l’anno di matrimonio. Aspettava un bambino…”. Invece un tragico destino l’aveva colta. Intanto erano giunti vari colleghi di alcune testate: Egisto Corradi del Corriere della sera, Onorato Orsini de La notte, che al giornale era critico cinematografico e per ultimo, tra coloro che conoscevo, Francesco Rosso de La stampa di Torino. Io cronista ventisettenne, raccoglievo notizie per Il popolo di Milano. Ero stato fra i primi cronisti ad arrivare sul luogo del disastro, quel tardo pomeriggio del 26 giugno 1959. Di lì a poco giunse l’arcivescovo di Milano, il bresciano Giovanni Battista Montini, che sarebbe diventato papa Paolo VI alcuni anni dopo. Il presule salì sui rottami e impartì la benedizione alle numerose salme che giacevano perlopiù sedute nella carlinga. Poi il cardinale abbracciò la donna piangente e la benedisse. Entrammo nella casa colonica sfiorata dall’aereo precipitato. “Pioveva a dirotto – ci disse una ragazza di circa 16 anni – io mi ero avvicinata alla porta per chiuderla e nella penombra (non era ancora in uso l’ora legale erano da poco passate le 17.30), vidi il fulmine colpire l’aereo e illuminare il cielo a giorno e poi precipitare nell’orto di casa a pochi metri da noi. Mio padre mi aveva appena detto di chiudere la porta perché l’acqua scendeva di traverso… Abbiamo sentito uno schianto e la terra ha tremato come se ci fosse stato un terremoto. Siamo stati fortunati. Potevamo essere morti! Forse per noi è stato un miracolo”. Intanto io avevo il problema del ritorno al giornale, per la pubblicazione del testo ed Egisto Corradi, mentre i fotografi continuavano a far scattare i flash, gentilmente mi diede un passaggio e mi riaccompagnò in redazione a Milano. All’epoca non esistevano le odierne tecnologie. Il giorno dopo, sabato, un sole beffardo dardeggiava sulle bare bianche allineate sull’aia della cascina Agnese: in qualche bara solo resti ossei impossibili da identificare. Mentre risentivo l’odore nauseante dei cadaveri, rivivevo la sciagura, pensando ai mocassini beige e all’impermeabile che avevo dovuto gettare… Oggi, a più di cinquant’anni, il mio naso non ha dimenticato».

Silvana Scanagatta, scrittrice, pittrice e moglie di Gualtiero Conti ha ricordato il disastro aereo del 26 giugno 1959 nel suo racconto "Una bambina ricorda":
«Avevo cinque anni e giocavo nel giardino di casa a Castellanza con mia sorella Marinella. Il cielo era livido e minacciava temporale. Mia madre si era affacciata alla finestra e, preoccupata da tuoni e fulmini, sollecitava a entrare in casa. Per consuetudine, bruciava con una preghiera delle foglie di ulivo benedetto. Erano gli anni in cui non era improbabile che un temporale estivo portasse la grandine e con quelle palline di ghiaccio, mia sorella e io facevamo la granita al limone in una grande zuppiera. Aspettando col naso all'insù, ricordo di esser trasalita all’improvviso a causa di un tuono rimbombante e di un fulmine che abbagliava il cielo. Con le prime gocce d’acqua una saetta colpiva un aeroplano che aveva da poco superato alla mia vista la grondaia del tetto della casa. Con gli occhi fissi all’immagine vidi distintamente il velivolo d’argento spezzarsi in due parti e la coda scendere dal cielo con un crepitio accompagnata da due palle di fuoco che a mano a mano che cadevano perpendicolari, una sopra la coda spezzata del velivolo e l’altra a metà della medesima, si spegnevano lasciando una sottile scia scura che nel giro di qualche istante dissolveva nell’aria. La fusoliera in caduta rifletteva luce argento contro un cielo che si era fatto viola scuro. Mia madre uscita di corsa ci riportava in casa. Le chiesi: “Mamma, mamma, adesso? Perché?”. Mi rispose semplicemente che doveva essere accaduto qualcosa di brutto a un aereo. Intanto, la vicina di casa e altre donne del circondario si erano affacciate chi alla finestra, chi alla porta e si scambiavano concitate domande. Quella tragedia la ricordo così, nonostante la tenera età. Molti anni dopo, Gualtiero Conti sarebbe diventato mio marito. Appassionato di aeronautica, come tutti del resto in famiglia, un giorno seppi che anche lui, in quel fatidico 26 giugno 1959, non solo fu testimone della sciagura scrivendo sulle pagine de Il popolo di Milano, ma ne conservò intatta la memoria».

Marco Tajè
direttore@legnanonews.com
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Pubblicato il 01 Luglio 2016
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