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Qual è l’obiettivo psicologico del terrorismo?

Le nostre abitudini quotidiane sono molto cambiate negli ultimi anni...

Le nostre abitudini quotidiane sono molto cambiate negli ultimi anni anche a causa del diffondersi del terrorismo. Un tempo la scelta delle mete delle vacanze era effettuata in base alla lunghezza del viaggio, alla piacevolezza del luogo ed il massimo delle preoccupazioni era informarsi sulle vaccinazioni da eseguire. Ma l'11 settembre ha segnato per sempre le nostre coscienze, e gli ultimi fatti di terrorismo non fanno altro che aumentare esponenzialmente la nostra paura. Quando accade un atto terroristico ne parlano per ore telegiornali, trasmissioni televisive varie,  social network, tutto il mondo occidentale sembra bloccarsi: in fondo il terrorismo senza mezzi di comunicazione di massa non sarebbe così spaventoso. I terroristi infatti fanno largo uso dei canali mediatici per diffondere la paura, ricordiamo ad esempio i video dei  miliziani dell’ISIS che giustiziano senza pietà i loro prigionieri di fronte ad una telecamera. Ogni scena, curata da un abile regista, è creata ad hoc per  incutere angoscia, paura e smarrimento. In realtà non è la paura il  vero problema, bensì  le sue aberrazioni come l’ansia, la fobia, il panico e in fine il terrore.
Il rischio, in casi come questi, è di cadere vittime dei pensieri ossessivi. Il pensiero che qualcosa di brutto possa presentarsi, violento e inaspettato, fa vivere in uno stato di angoscia, smarrimento e di condizionamento psicologico che a volte scavalca le capacità di ragionamento.
Qual è l'obiettivo psicologico del terrorismo? Sicuramente inibire i comportamenti sociali. Pensiamo ad esempio all'effetto che può fare  una sparatoria in un supermercato, un luogo dove una persona si reca quasi quotidianamente. Il primo pensiero è quasi sempre: “non si è più sicuri da nessuna parte!”. La paura paralizza e chi è paralizzato non si muove, limita spostamenti e viaggi. Far paura è una forma di controllo che limita la crescita e la libertà: la violenza e la paura sono sempre state usate come tecniche di oppressione sulle popolazioni vittime per causare cambiamenti nella quotidianità e nel pensiero delle menti umane. Un’altra delle conseguenze della paura del terrorismo è l’aumento della diffidenza e l’ostilità verso tutto ciò che non fa parte della propria cultura che spesso sfocia in ulteriore violenza e intolleranza. Tutto ciò da vita ad un circolo vizioso che se consolidato diviene poi molto difficile da smantellare.
Come reagire quindi al terrorismo, o meglio alla paura del terrorismo?  Dato che uno dei principali obiettivi dei terroristi è quello di destabilizzare la quotidianità delle popolazioni, la giusta difesa, nel nostro piccolo, è quella di cercare di continuare le nostre attività e non permettere che la paura ci tenga chiusi in casa. 
Il terrorismo paradossalmente ci porta un'opportunità: tutti noi abbiamo provato uno stato di profonda commozione e compassione quando vediamo le conseguenze di un atto terroristico, ma ciò contiene già in sé il germe della reazione. In occasione di disastri naturali come terremoti, inondazioni, abbiamo assistito a delle reazioni che appartengono alla natura umana come la generosità, l’eroismo, il coraggio, la fratellanza. Virtù, più che reazioni, note alla psicologia positiva per la loro capacità di promuovere benessere personale e sociale. Paulo Coelho diceva che le persone più felici non necessariamente hanno il meglio di ogni cosa, soltanto traggono il meglio da ogni cosa che capita sul loro cammino.
Un ultimo pensiero sul tema: in questo clima di violenza anche i bambini e i ragazzi sono spesso spettatori della spettacolarizzazione del terrore. Consiglio alle figure di riferimento quali la famiglia, gli insegnanti, gli educatori, di promuovere quelle competenze e abilità della vita come il pensiero critico, la comunicazione efficace, la capacità di gestire le emozioni. Sarebbe opportuno quindi che anche loro fossero formati ad hoc, così da essere in grado di poter comunicare sull'argomento nel modo più funzionale possibile, ovvero sapere cosa è meglio dire e spiegare in funzione dell'età del bambino. Promuovere tali competenze significa infatti essere in grado di mettere in condizione i bambini e i ragazzi di rispondere alle sfide e alle opportunità della vita, quindi il loro benessere.

Dott.ssa Federica Camellini

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Redazione
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Pubblicato il 27 Aprile 2016
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