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Divorziati, single e anziani, i più esposti al suicidio

Chi è generalmente più a rischio di togliersi la vita?...

Nello scorso articolo abbiamo iniziato ad affrontare il tema del suicidio. Chi è generalmente più a rischio di togliersi la vita? L’atto suicida riuscito si riscontra di più negli uomini, mentre per le donne sono più numerosi i tentativi che fortunatamente non vanno a segno. Il tutto è spiegabile per il fatto che le donne hanno più rapporti interpersonali con altre amiche e riescono più frequentemente a comunicare quello che stanno tentando. Gli uomini, essendo più riservati, chiusi, meno propensi culturalmente a parlare dei propri problemi e dei propri guai, mettono in atto i loro comportamenti senza darne preavviso, o senza essere capiti nelle loro intenzioni. La statistica ci sottolinea che il suicidio avviene di più tra i divorziati, i single che non hanno una vita soddisfacente a livello sociale, tra gli anziani che si sentono soli, tra chi soffre di disturbi mentali e chi ha problemi di alcool. E’ stato constatato che la maggior parte delle volte il tentativo di suicidio può esser considerato come un’indiretta richiesta d’aiuto, tanto che la percentuale di quelli che falliscono è molto più elevata di quelli che giungono alla morte. Un dato allarmante è il progressivo aumento di suicidi negli adolescenti. Questo dato non solo testimonia le difficoltà incontrate dal ragazzo/a durante il suo percorso di identificazione e di emancipazione, ma esprime anche un disagio dell’intera società. Gli adolescenti, infatti, vivono in una società incapace di comunicare valori e significati esistenziali e di fornire gli strumenti necessari per il costituirsi di un senso d’identità solido e forte.
Quando pensiamo che un amico o un parente stia pensando di suicidarsi, spesso non sappiamo come comportarci. Ecco quindi alcuni consigli pratici:
– incoraggiare la persona ad esprimere i propri bisogni e ascoltarlo con empatia: deve percepire che è preso sul serio nella sua sofferenza e che c’è qualcuno che si occupa di lui;
– evitare di criticare o moralizzare sentimenti e gesta, ma infondere il senso del passaggio della bufera e della luce in fondo al tunnel;
– evitare di ribattere le loro lamentele inneggiando a quanto sia bella la vita;
– evitare di atteggiarsi a psicologi che vogliono analizzare le loro motivazioni o che li incitano ad eseguire quello che hanno comunicato. E’ troppo rischioso e si può creare una sorta di sfida fatale;
– suggerire delle alternative di strategie per la soluzione dei problema che attanagliano la persona potenzialmente suicida. Se non altro serve ad allargare il campo percettivo delle risoluzioni;
– esprimere il vostro sentimento nei confronti di ciò che state percependo o vivendo;
– evitare di credere che chi lo dice non lo farà, è una falsa convinzione;
– se la persona comunica la sua decisione, è opportuno proporgli o condurlo da uno specialista che lo aiuti nel dirimere il senso di angoscia, le sole nostre parole potrebbero non bastare più per la sua condizione psicologica;
– esprimere a parole e con i comportamenti che non lo lascerete da solo, perché gli volete bene.

Che succede se un amico o un parente si suicida? La reazione familiare al suicidio di un suo membro è devastante. Il primo sentimento che emerge è il senso di colpa nei suoi confronti per quello che avrebbero potuto fare/non fare, o per quello che avrebbero dovuto fare/non fare. Allo stesso tempo insorge un senso di rabbia per quello che il suicida ha commesso, per non averne parlato, per non aver seguito i suggerimenti dati. Serpeggia, anche, un senso di vergogna nei riguardi della percezione degli altri membri della società (amici, vicini di casa,ecc.) e del loro giudizio. 
Andare a cercare i veri motivi dell’atto suicidarlo è forviante e poco rassicurante per il familiare, perché rimane sempre il dubbio di quello che si sarebbe potuto fare e che non si è fatto. Non parliamo, poi, del coniuge. Egli si tormenterà in continuazione attribuendo ogni litigio, incomprensione, comportamenti, a fattore precipitante del gesto fatale. Gli rimane un senso di impotenza e di diffusa tristezza per quanto successo. In simili casi è opportuno seguire una psicoterapia per elaborare il lutto familiare, la  perdita affettiva, l’emergere dei sensi di colpa, onde evitare di protrarre per anni una vita pesante e angosciante.
Che succede se si sopravvive ad un tentato suicidio? Generalmente la persona porta con se una serie di cambiamenti che riguardano sia chi lo ha agito che chi gli sta vicino. Il suicida mancato si trova a fare i conti con il suo fallimento, con le motivazioni che l’hanno portato al gesto estremo, con il confronto e le reazioni delle persone a cui è legato. Questo aspetto apre una serie di reazioni emotive, di difficile gestione, tanto che può diventare un ulteriore problema da affrontare, anche in questo caso l’aiuto di un esperto e della rete di persone a cui si è legate, diviene un bene prezioso di cui è preferibile servirsi.
I familiari e gli amici dell’aspirante suicida possono diventare più ansiosi e protettivi, per prevenire ulteriori ricadute, e maggiormente preoccupati davanti al minimo stato di malessere della persona. In questi casi è importante riuscire a parlare dell’accaduto e imparare a comunicare in modo più esplicito e diretto affinché non sia necessario agire nuovamente un comportamento autolesivo per attirare l’attenzione. 
Occorre stare attenti però al rischio di restare incastrati in una dinamica ricattatoria, dove per evitare che l’altro si tolga la vita, si è disposti ad accontentare qualsiasi sua richiesta. In questi casi è preferibile che anche la famiglia sia coinvolta nel processo terapeutico del paziente, così da evitare che questa si assuma la responsabilità della sua vita, impedendogli di portare avanti il suo percorso di crescita.
Sono a disposizione per domande, chiarimenti, o per spunti su argomenti che desiderate approfondire.

Dott.ssa Federica Camellini
federicacamellini@libero.it

Redazione
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Pubblicato il 09 Settembre 2014
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