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LA DOTT.SSA CAMELLINI TORNA A RIFLETTERE SUL MOBBING

In molti avete scritto per narrare storie di mobbing, accadute a voi, oppure a parenti e ad amici. Queste esperienze spaziano da aziende di piccole a grosse dimensioni, dall’edilizia ai supermercati, dagli operai ai dirigenti, a confermare che il mobbing non conosce “isole felici”.

La crisi economica ha avuto sicuramente un peso importante nel dilagare del mobbing: il peggioramento delle condizioni economiche ha infatti portato nel mondo del lavoro esuberi e/o personale da ricollocare. Le risorse umane sono diventate per molte aziende un peso che deve essere smantellato anche attraverso il mobbing, cosicché sia il dipendente stesso a licenziarsi per porre fine alle angherie subite, aggirando, di fatto, l’articolo 18.

Le donne sono l’elemento fragile del mondo del lavoro, e più spesso di quanto si creda si pratica mobbing su di loro, in particolare quando sono in maternità. Improvvisamente il dono di generare la vita viene vista come un danno all’azienda: Luisa racconta l’inizio del suo calvario, toccato prima di lei ad altre sue colleghe diventate mamme. Tre cambi di sede, minacce, per poi finire a lavorare in un ufficio da sola, senza computer, il bagno nell’edificio di fronte, nessun contatto con i colleghi, a fissare il soffitto tutto il giorno. E piangere, da sola.

Le conseguenze sulla salute del mobbing sono molteplici: ad esempio può causare sintomi fisici, come cefalea, dermatosi, annebbiamenti della vista, tremore, tachicardia, sudorazione fredda, difficoltà di memoria o di concentrazione, disturbi del sonno, incubi, risvegli anticipati, problemi delle funzioni gastriche e digestive, come gastrite bruciori di stomaco, nausea, vomito, dolori muscolari, mal di schiena artriti e reumatismi, disturbi della sfera sessuale, ecc. Oppure si possono innescare sintomi psicologici, come ad esempio agitazione/irrequietezza, sindromi ansiose, disturbo post-traumatico da stress, disturbi dell’adattamento, depressioni con fissazione del pensiero sul proprio problema, disturbi comportamentali che impediscono la partecipazione alla vita lavorativa/sociale (attacchi di panico, disistima ecc), alterazioni della personalità, fino al suicidio. Non dimentichiamo, infine, che si possono verificare anche conseguenze sociali importanti a causa del persistere dei disturbi psicofisici: questi, infatti, portano di conseguenza ad assenze dal lavoro sempre più prolungate, e alla "sindrome da rientro al lavoro" sempre più accentuata, fino alle dimissioni o al licenziamento. Inoltre il mobbing può causare perdita dell'autostima e del proprio ruolo sociale: a cascata quindi comporta insicurezza, difficoltà relazionali e, per le fasce d'età più avanzate, l'impossibilità di nuovi inserimenti lavorativi.

Di frequente la vittima del mobbing porta all'interno dell'ambito familiare il proprio stato di grave disagio: attenzione, però, a non diventare muti o logorroici, parlando sempre del mobbing né in azienda né in famiglia, in quanto si rischia di fissarsi ossessivamente sul proprio dramma. Non sono rari i casi di matrimoni andati in crisi, di contrasti con i figli/e, di amici o conoscenti che scompaiono per mesi. E quest’ulteriore solitudine può predisporre l’individuo a depressione, abuso di sostanze e in generale a sintomi psicopatologi.

In Italia non esiste una legge in materia di mobbing e quindi tale abuso non è configurato come specifico reato a sé stante. Gli atti di mobbing possono però rientrare in altre fattispecie di reato, previste dal codice penale, quali le lesioni personali gravi o gravissime, anche colpose, che sono perseguibili d’ufficio e si ritengono di fatto sussistenti nel caso di riconoscimento dell'origine professionale della malattia. La legge italiana disciplina anche il risarcimento del danno biologico, associabile a situazioni di mobbing. Difendersi dal mobbing è possibile, identificando subito la situazione e cercando di prendere immediatamente le distanze senza cadere nella trappola dei sensi di colpa.

Il primo passo da compire in questa circostanza è diventare consapevoli dell’origine dei propri disturbi, ovvero che il vostro malessere, con conseguenze sia psicofisiche che sociali, è causato dal mobbing, e non siete voi che state impazzendo. Se possibile, cercate di parlarne, in modo informale, con il capo – ovviamente se non è lui il mobber – così tentare un chiarimento e/o di informare della situazione: è un primo passo per affrontare il mobbing. E’ importante non essere impulsivi e/o aggressivi, e sarebbe meglio farsi accompagnare da un collega di lavoro. Il suggerimento poi è di non parlare delle persone (il sig. Rossi è sempre aggressivo, ecc), ma solo dei fatti, in quanto, se la persona con cui parlate ha un'altra opinione del mobber, molto probabilmente non crederà a quanto state raccontando. Può essere utile richiamarsi ai diritti di operare in condizioni di salute non solo fisica, ma anche mentale. Cercare un dialogo positivo e costruttivo con i capi, evitando di essere lamentosi o minacciosi di querele e denunce.

Se i capi non rispondono, diventa necessario usare una strategia più incisiva: andare ad un Sindacato, o da un legale di un Patronato, o da un legale giuslavorista, mettendo per iscritto le proprie rimostranze. Occorre trovare il coraggio di parlarne per ritrovare il proprio equilibrio psicologico, recuperare energie e informarsi per elaborare una possibile strategia d’azione. E’ possibile rivolgersi quindi ad uno degli sportelli antimobbing, presenti nel territorio milanese, organizzati sia dagli ospedali, dalle Asl, o dai sindacati, dove è possibile usufruire di servizi informativi o d’intermediazione presso l’azienda, di supporto psicologico competente, e dove è anche possibile conoscere le vie legali da intraprendere per l’eventuale richiesta di risarcimento conseguente all’accertamento del danno subito. Tutto questo va fatto sempre presentando delle prove oggettive, ovvero è necessario raccogliere un’ampia documentazione che possa provare la condotta mobbizzante del capo o del collega, insieme ai documenti che comprovino il proprio stato di salute, utili per un’eventuale e futura causa legale. Senza queste ultime nessuna causa può essere intentata, poiché è la parola dell’azienda contro la vostra.

Di seguito troverete due indirizzi a cui rivolgervi in caso stiate subendo mobbing: Clinica del Lavoro "Luigi Devoto" Centro per la prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione del disadattamento lavorativo. Direttore: Dr. Renato Gilioli Via San Barnaba 8 – Milano, tel. 02 57 99 26 44; UIL Sportello Mobbing. Responsabile: Michela Rusciano Via Campanini 7 – 20124 Milano, tel. 02 67 11 03 401, cspmilano@uil.it.

Non siate passivi a quest’abuso, se ne può uscire senza perderci in salute. Non pensate che se tenete duro il comportamento di capi o colleghi possa improvvisamente cambiare, in quanto il mobbing non finirà finché non avrà raggiunto il suo scopo: il vostro allontanamento dall’azienda.

Resto a disposizione per domande o suggerimenti.

Dott.ssa Federica Camellini

federicacamellini@libero.itwww.psicologolowcost.it

Redazione
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Pubblicato il 20 Marzo 2012
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