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Giorno della Memoria: Soldati e ufficiali di Legnano deportati

In questo terzo racconto, le storie di militari legnanesi finiti nei campi di prigionia tedeschi e anglo-americani...

Soldati e ufficiali di Legnano deportati
nei campi di prigionia tedeschi
e anglo-americani

“Tutti i giorni sono uguali,
così come le baracche di legno in cui si vive
e il filo spinato che le circonda
non cambiano mai”

Augusto Marinoni


La dissoluzione dell’esercito regio l’8 settembre 1943 coinvolse anche alcuni soldati e ufficiali legnanesi in quel momento operanti in diversi contesti militari. Per alcuni fu possibile il ritorno a casa spesso fortunoso, per altri ci fu la prigionia in Germania, in Polonia o altrove nelle mani dei tedeschi. Finirono tutti in vari campi per l’internamento dei militari (Stalag).

Sono storie tristi che meritano di essere ascoltate.

Nelle mani dei tedeschi

Luigi Caironi, presidente della Famiglia Legnanese, persona ancora oggi molto nota nella nostra città, l’8 settembre cercò con il suo reparto nei pressi del Po di contrastare i tedeschi ma fu rapidamente disarmato. La sua destinazione fu lo Stammlager di Hammerstein in Pomerania. Potè tornare in Italia solo a guerra finita.

Raccontò del lager:“Nel nostro settore c’erano quattro capannoni con mille prigionieri ciascuno. Nel centro c’era una torretta con fari e mitragliatrici, su tre lati altrettante latrine. Da mangiare ci davano una minestra fatta di rape e brodo di pecora”. Grazie alla discreta conoscenza del tedesco imparato nell’Istituto “Dell’Acqua” Caironi riuscì a lavorare in una fattoria dove il cibo non era scarso.

Stesso destino per Vittorio Jelo, disarmato vicino a Piacenza, caricato su un carro bestiame nello stesso campo di Caironi, lo Stammlager di Hammerstein in Pomerania:“Lì ci scaricarono in mezzo ad un campo recintato dove rimanemmo alcuni giorni all’addiaccio senza alcun aiuto. Alla fine di questi interminabili giorni fummo assegnati alle baracche circondate da cani lupo. Procedettero in seguito ad un’ulteriore selezione e finii con un altro gruppetto di prigionieri a Barth Holz dove esisteva una fabbrica di bombe. Le baracche erano discrete, ma il lavoro massacrante. Alle sei del mattino bisognava già essere sul posto di lavoro che distava qualche chilometro dal campo di prigionia e si lavorava ininterrottamente per dodici ore senza soste e senza la distribuzione del rancio. Alle sei di sera arrivava il cambio dei compagni del turno di notte e solo una volta fatto ritorno alle baracche si aveva diritto ad una gavetta di acqua sporca che chiamavano minestra. Al lunedì sera i tedeschi distribuivano la razione settimanale che consisteva in un pezzo di pane nero, una fetta di salame e un cucchiaio di marmellata”.

Costantino Colombo, appartenente anche lui allo stesso reparto di Jelo, finì in un lager vicino condividendo con gli altri legnanesi il freddo, la fame, le malattie, il duro lavoro e il costante disprezzo dei tedeschi che vedevano nei militari internati i “traditori” dei camerati tedeschi.“Arrivammo al campo, dove rimasi per due mesi. Faceva molto freddo e anche la razione quotidiana di cibo, una zuppa con una fetta di pane scuro, ci permetteva appena di restare in piedi. Un giorno senza alcun motivo mi colpirono con tredici manganellate. Alla fine svenni. Molti furono coloro che morirono a causa della fame e degli stenti. Feci amicizia con altri due prigionieri: Gaetano Ciompi di Marina di Massa e Vittorio Jelo di Legnano. C’erano i lavori forzati per tutti in uno stabilimento che caricava le bombe”.

Colombo organizzò con altri deportati gruppi di studio all’interno del lager:“Parlavamo di filosofia, arte e meccanica. I tedeschi ci stavano uccidendo minuto dopo minuto, ma non volevamo che ci privassero anche della nostra dignità. Imparavamo qualcosa tutti i giorni, visto che ogni giorno per tutti noi sarebe potuto essere l’ultimo”.

Italo Campanoni si trovava ad Atene e seguì il destino di molti altri militari italiani: 615.000 per l’esattezza che dopo l’8 settembre finirono in Germania e Polonia per lavorare nell’industria bellica tedesca. Campanoni fu deportato in un campo di lavoro vicino a Monaco di Baviera.

Con queste parole Campanoni ricorda la sua prigionia:“Mangiavamo quello che potevamo, ma avevamo scoperto un deposito di patate e di tanto in tanto ce ne servivamo nascondendole nelle maniche delle giacche. In altri reparti si costruivano assi per i gabinetti, così noi potevamo usare la legna di scarto per bruciarla nella stufa. Ogni tanto da casa ci arrivava qualche pacco e la roba in più veniva messa in comune e divisa”.

Stesso destino per gli ufficiali. Il sottotenente Giuseppe Biscardini fu catturato presso Antibes, rifiutò ogni forma di collaborazione con i tedeschi e i fascisti (arruolamento nelle milizie di Salò e ritorno a casa) e finì a Tarnopol in Polonia. Anche in Polonia continuò a rifiutare il lavoro coatto:“Meglio la fame nei lager, piuttosto che la collaborazione con il governo nazista”. Un altro legnanese il capitano Lorenzo Ranelli (classe 1909), medico, fu catturato dai tedeschi in Grecia e finì in un lager vicino a Vienna. Giacomo Landoni, sopravvissuto al massacro della divisione Acqui a Cefalonia, fu deportato a Konigsberg (la città di Kant) a rimuovere le macerie dei bombardamenti.

Adriano Pasquetto, a sinistra nella foto di famiglia, è un sottufficiale di Legnano coinvolto nella dissoluzione dell’esercito in Albania. Per lui si apriranno le porte di alcuni dei più tristi Stalag per i militari italiani: Leopoli e Wietzendorf.

http://restellistoria.altervista.org/pubblicazioni-2/adriano-pasquetto-storia-di-un-internato-militare-italiano-la-prigionia-a-leopoli-e-wietzendorf/

Due legnanesi lontani da Legnano, due scelte antitetiche

Capitò i quei giorni che due legnanesi si incontrassero lontani da Legnano, seppure su versanti diversi. Giacomo Landoni come detto è un militare della divisione Acqui che venne deportato a Konigsberg. Le condizioni di vita sono facilmente immaginabili: freddo e fame. Ma un giorno Landoni vide e ascoltò Carlo Borsani (legnanese, cieco di guerra ed esponente di punta della RSI) in quel lager:“La fame è una di quelle degradazioni che fanno fare gli atti più inconsulti. E allora era venuto il cieco Borsani che veniva a fare propaganda per la Repubblica di Salò e chi aderiva lo mettevano dall’altra parte del reticolato e noi non mangiavamo niente e di là pastasciutta e tutto il ben di Dio. E tanti l’han fatto per risolvere il problema di venire in Italia. La stragrande maggioranza però non ha accettato”.

Nei campi degli Alleati

Diverso fu il destino di altri legnanesi i quali furono catturati prima dell’8 settembre dagli anglo-americani e quindi furono deportati in Africa, in India, in Sudafrica o negli Stati Uniti. Questo è il caso di Augusto Marinoni, catturato in Tunisia nel maggio del ’43 e trasferito a Hereford in Texas. Come sappiamo dopo la guerra Marinoni divenne uno degli studiosi di Leonardo da Vinci più apprezzati a livello internazionale.

Dobbiamo a Marinoni una delle testimonianze più significative, anche per la forza del linguaggio, della deportazione degli italiani nei vari campi di concentramento. Negli Stati Uniti scrisse su un taccuino (“Snapshots”, Istantanee) le sue impressioni:“Appena partito divenni una cosa minima nel soffio di una forza immensa. Un continuo rotolare in treno, aeroplano, autocarro: gettato nella sabbia per mesi: la fame, la sete, il caldo, il freddo, la sporcizia e gli insetti, il vento e la polvere, il sole e la febbre; gli sputi, i fischi, gli spari del vincitore su noi inermi. Poi l’Atlantico, attraversato nel fondo di una stiva come carico inerte… Anche qui a Hereford, in apparente tranquillità, col cibo sufficiente, l’acqua per le pulizie, il letto per dormire, siamo sempre cose: non si vive, o si vive solo passivamente, soffrendo. Le ferite non si imprimono più sul corpo: si lacera lo spirito” (R. Marinoni Mingazzini, “Augusto Marinoni: l’uomo e lo studioso”, in “Hostinato rigore”. “Leonardiana in memoria di Augusto Marinoni”, a cura di P. C. Marani, Città di Legnano, 2000, p. 15).

Daniele Trezzi, fatto prigioniero in Africa come Marinoni, finì invece in un campo in Scozia. È inutile dire che tra i campi di prigionia tedeschi e anglo-americani c’era una bella differenza!

Pino Arini (classe 1911) è invece un sottufficiale legnanese che vive in prima persona le ultime fasi della ritirata italo-tedesca in terra d’Africa.

Come è noto dopo El Alamein (ottobre-novembre ’42) l’esercito italiano conobbe solo un’affannosa ritirata che si concluse con la resa definitiva del 13 maggio dell’anno successivo a Capo Bon in Tunisia. Quel giorno dell’impero africano di Mussolini non rimaneva più nulla.

Pino Arini arriva a Tunisi il 7 marzo del ’43 in tempo per registare nelle sue memorie scritte in prigionia ciò che accadde in quei giorni. Nonostante l’abnegazione dei soldati italiani la sproporzione di forze rispetto agli anglo-americani era palese. Il risultato finale non poteva essere che la resa definitiva e per Arini la detenzione in un campo di prigionia francese dove gli italiani erano trattati con molta rudezza.
http://restellistoria.altervista.org/pubblicazioni-2/931-2/

Legnanesi dispersi in Russia

Ermenegildo Caironi morì in Russia in un campo di prigionia dopo la disastrosa ritirata delle nostre truppe dal Don nel gennaio del ‘43. La sua storia è stata ricostruita dal nipote Giovanni Caironi.
http://www.legnanonews.com/news/15/31562/

Altri due legnanesi molto probabilmente condivisero il destino di Ermenegildo Caironi morendo in Russia: Luigi Bonomi e Mario Pinciroli. Di loro però non conosciamo il luogo di sepoltura.

“Le ferite non si imprimono più sul corpo: si lacera lo spirito”
Augusto Marinoni

Giancarlo Restelli e Renata Pasquetto

http://restellistoria.altervista.org/pagine-di-storia/giorno-della-memoria/

– Gran parte delle informazioni per questo testo le ho trovate in Giorgio Vecchio, Nicoletta Bigatti e Alberto Centinaio, “Giorni di guerra. Legnano 1939-1945”, Eo Ipso 2009. pp. 146-162

– Legnano incontra Auschwitz

http://www.youtube.com/watch?v=p-LNzSm9NPg

Redazione
info@legnanonews.com
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Pubblicato il 26 Gennaio 2015
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