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Meeting di Rimini: due mostre, tante domande

Il Meeting, commenta Daniela Colombo, ha la capacitá di far sorgere domande - Come rispondere poi sta nella libertá e nella responsabilitá di ciascuno...

Due tra le mostre presenti al Meeting 2014 sono state oggetto di una profonda attenzione da parte di Daniela Colombo, la nostra "inviata" a Rimini, in questo suo nuovo intervento (qui il precedente servizio).


Quello che mi ha sempre stupito, e continua ancora a stupirmi del Meeting dopo tante edizioni, é il fatto che si pone come una proposta di incontro per tutti. Nonostante quel che si legge sulla stampa, che a mio parere fa a gara per ridurre la reale immagine e la vera portata di questo evento, il Meeting in sostanza é questo: una finestra aperta sul mondo non tanto per evidenziare quel che non va in Italia e nel mondo (che pure c'é, é ovvio, qui mica ci sono sprovveduti, estranei a quel che succede, anzi…), ma per mostrare esperienze di vita di persone che, pur nelle difficoltá del vivere quotidiano e molto spesso in condizioni e in luoghi estremi, le periferie del mondo come dice il titolo, riescono comunque a costruire "pezzi di umanitá" a 360 gradi e lo fanno per tutti. Lo fanno non perché sono bravi, ma perché ricercando una risposta sul senso della loro vita ed avendo in questo sperimentato un bene per sé riescono a diventare un bene anche per altri.

Il Meeting non ha l'intento e non pretende di fornire risposte preconfezionate, ma attraverso le mostre, gli eventi, gli spettacoli, gli incontri con persone provenienti da tutto il mondo, famose o meno, ha la capacitá di far sorgere delle domande. Come rispondere a queste domande poi sta nella libertá e nella responsabilitá di ciascuno.

Tra le tante presenti, tutte belle e interessanti, ci sono due mostre, curate da due associazioni giá conosciute a Legnano e dintorni, che sono particolarmente esemplificative di questo "metodo".
Una ha per titolo "Generare bellezza. Nuovi inizi alle periferie del mondo" ed é curata dalla Fondazione AVSI (Associazione Volontari per il Servizio Internazionale). Il percorso della mostra attraversa, con racconti di storie, filmati e testimonianze, tre realtà molto differenti: un gruppo di scuole in Kenya, nate per offrire educazione di qualità anche ai ragazzi più poveri; un centro di recupero ed educazione nutrizionale a San Paolo in Brasile, basato sulla responsabilità dei genitori e il legame famigliare e comunitario; un intervento di educazione infantile nelle periferie di Quito (Ecuador), mirato alla valorizzazione della persona e delle sue risorse, magari sepolte dalla povertà. Attraverso il percorso si capisce che un incontro con qualcuno che dice “tu vali” cambia la vita della persona e le fa cominciare un cammino. Umanità e talenti altrimenti sepolti dalla miseria si affacciano così sulla scena della storia e sono oggi un segno di speranza per tutti: l’unica vera possibilità di uno sviluppo sostenibile. E uno, come ho fatto io, guardando tutto questo si domanda quali siano allora i veri fattori che generano sviluppo e come l'opera di realtà del terzo settore, di cui AVSI é un esempio, riesce ad essere una efficace opera di educazione e non solo una assistenziale “distribuzione di briciole”.

"...V’ò fatto ponte. La carità è il solo tesoro che si aumenta col dividerlo" é il titolo dell'altra mostra (la prima parte del titolo é una espressione di Santa Caterina da Siena, la seconda una frase di Cesare Cantú). É la auto rilettura della storia del Banco Alimentare, quello piú conosciuto, e degli altri "Banchi" (Banco farmaceutico, Banco building, Banco informatico, tecnologico e biomedico), che hanno descritto il “metodo Banco” come un “ponte” che mette in relazione uomini poveri e ricchi, anonimi e famosi, giovani e anziani, che non fa essere soli perché offre la possibilità di incontrare il proprio destino. Il percorso propone storie di persone che, attraverso l’esperienza fatta a diversi livelli e con diversi ruoli – imprenditore, tecnico, beneficiario delle donazioni, volontario – hanno iniziato ad attraversare questo “ponte della condivisione”, vedendo e rispondendo al bisogno proprio e degli altri.

Ognuno di noi, se ci pensiamo bene, vive in qualche modo, nella sua vita quotidiana, la propria periferia: si diventa un’isola in un arcipelago infinito di altre isole, abbandonati a se stessi, estranei e indifferenti l'un l'altro. In questa realtá la carità si fa opera attraverso il “tentativo ironico” di chi assume questa responsabilità, per non lasciare solo l’uomo. Non è solo il fare, ma il riconoscimento di una presenza che dà senso alla vita. Ciascuno può dire il proprio sì all’invito ad attraversare il ponte e può invitare gli altri ad attraversarlo.

Daniela Colombo

Redazione
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Pubblicato il 01 Settembre 2014
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